1. La comunicazione

1. La comunicazione

1.1 IL LINGUAGGIO E LA DIMENSIONE SOCIALE DELLA COMUNICAZIONE

Negli ultimi due decenni il ruolo della comunicazione è diventato sempre più importante in molteplici ambiti della vita sociale: dalla politica alla pubblicità, dalla presentazione di se stessi in pubblico a quella nelle reti digitali. Comunicare del resto è un’attività talmente basilare per la società che, probabilmente, essa non avrebbe possibilità di esistere qualora gli individui non fossero costantemente impegnati a scambiarsi idee, simboli e conoscenze.
Il linguaggio è il sistema di comunicazione fondamentale all’interno della società, forse il più importante strumento di comunicazione umana, nonché mezzo basilare per la maggior parte delle interazioni e delle relazioni sociali. La trasmissione del linguaggio ha un ruolo centrale nella fase di socializzazionedurante la quale si apprende la lingua del proprio gruppo che, fin da bambini, consente di interagire nel contesto prima familiare e poi scolastico. Dalle prime fasi della scuola, apprendere a leggere e scrivere è una delle competenze di base che permettono la trasmissione di qualsiasi altra conoscenza. Per questa ragione, lettura e scrittura sono considerati requisiti minimi per fare attivamente parte della società: essere ▶ analfabeti è uno dei problemi di base da risolvere nei paesi in via di sviluppo.
Dal punto di vista della sociologia, il linguaggio è, dunque, un sistema di suoni e simboli condiviso da una comunità. Tutti noi lo utilizziamo per interagire con altre persone e per costruire relazioni. Il linguaggio che usiamo, infatti, non è il risultato di un’azione o di una scelta individuale, ma è il frutto di un processo storico e collettivo di costruzione di una cultura nazionale. Nel caso della cultura italiana, per esempio, la lingua ha preso forma nel corso dei secoli anche grazie a poeti e scrittori come Dante Alighieri, Pietro Bembo e Alessandro Manzoni; ma è solo con il processo di unificazione d’Italia, a metà dell’Ottocento, che la lingua italiana è divenuta ufficialmente la nostra lingua nazionale. Nonostante ciò, è solo con gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento che la maggior parte della popolazione italiana ha iniziato ad abbandonare i dialetti regionali come forma linguistica principale in favore dell’italiano. Fino ad allora, vuoi per ragioni geografiche (la distribuzione della popolazione italiana in tante piccole comunità data la conformazione appenninica dell’Italia a “spina di pesce”), vuoi per ragioni socio-economiche (circa la metà della popolazione era ancora dedita all’agricoltura e, spesso, frazionata nelle campagne), l’uso della lingua italiana era limitato alle comunicazioni ufficiali e la maggior parte dei cittadini non era in grado di leggere e scrivere.

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Linguaggio e identità collettiva
La condivisione della lingua è un aspetto primario per il funzionamento di una società, perché aiuta a mantenere e rinforzare l’identità collettiva di un popolo e di una nazione. La società italiana, frammentata tra regioni del Nord e del Sud, rimane infatti unita anche per la funzione di collante operata dall’uso della lingua, che permette, per esempio, non solo di utilizzare giornali e notiziari di informazione unici per tutto il paese, ma anche di ereditare e incrementare una letteratura comune ed esprimersi in un “parlato” comprensibile a tutti.
In paesi in cui esistono più lingue, come in Svizzera, è infatti molto più difficile alimentare o percepire un senso immediato di identità nazionale. Allo stesso modo, le zone dove vivono ▶ minoranze linguistiche, come l’Alto Adige in Italia, dove si parla tedesco e in pochi altri casi ladino, costituiscono contesti sociali particolari, nell’ambito dei quali le istituzioni devono affrontare anche il problema di gestire una comunità attraverso l’uso di due o più lingue. Gli abitanti dell’Alto Adige possono infatti utilizzare sia la lingua italiana sia quella tedesca e i documenti ufficiali, come pure i cartelli stradali e le insegne, sono bilingui. La ragione è storica: la zona di confine dell’Alto Adige, rimasta sotto il controllo austriaco fino al 1919, è divenuta, poi, parte del territorio italiano. Dopo l’occupazione tedesca, nel 1948 fu concessa, con un primo trattato, l’autonomia regionale insieme al Trentino e, nel 1972, fu costituita la Provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige con ulteriori larghi ampliamenti di strumenti politici di autogoverno.
I dialetti
Una forma linguistica particolarmente significativa dal punto di vista sociale è il dialetto. Il ruolo dei dialetti cambia da paese a paese e anche in relazione a differenti periodi storici. In Italia, per esempio, l’uso del dialetto è legato in primo luogo alle origini geografiche, poiché ogni regione, a volte ogni città, coltiva una variante linguistica dialettale utilizzata nei contesti meno formali, e secondariamente alla collocazione sociale ed economica delle persone. Va sottolineato infatti che, per molti secoli, la lingua italiana è stata utilizzata da una minima parte della popolazione, una ristretta élite colta e benestante, che aveva accesso allo studio, a lavori nella burocrazia pubblica o a professioni particolari. Invece, la maggior parte degli italiani, prevalentemente impiegata nell’agricoltura, per molto tempo ha parlato solamente il dialetto della propria zona di origine: si stima che nel 1861, anno dell’unificazione dell’Italia, non più di un italiano su dieci fosse in grado di parlare correttamente la lingua italiana, come documentò, per esempio, l’Inchiesta Jacini (1884), un rapporto proposto dal parlamento italiano in cui vennero descritte in dettaglio le condizioni di arretratezza della popolazione contadina. Solo dopo la Seconda guerra mondiale, con la diffusione della scuola di massa | ▶ UNITÀ 5, p. 215 |, della televisione e, più in generale, con la modernizzazione dell’Italia e il suo passaggio da paese prevalentemente agricolo a industriale, l’uso dell’italiano si è progressivamente esteso a fasce sempre maggiori della popolazione. Oggigiorno, l’italiano è conosciuto dalla maggior parte della popolazione, sebbene l’uso del dialetto rimanga spesso vivo nelle conversazioni familiari e informali. I dati dell’Istat relativi al 2015 ci mostrano che, sebbene italiano e dialetto convivano nei contesti domestici e familiari, in quasi metà delle case italiane (45,9%) si usa l’italiano come lingua principale, mentre solo nel 14,1% delle famiglie il dialetto rimane la prima lingua di espressione.
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1.2 LA COMUNICAZIONE COME PASSAGGIO DI INFORMAZIONE

Uno dei modelli teorici più noti per analizzare i processi di comunicazione è stato formulato negli anni Quaranta del secolo scorso da due matematici americani: Claude Shannon (1916-2001) e Warren Weaver (1894-1978). Il modello Shannon-Weaver descrive i principali elementi coinvolti in un processo comunicativo, che nella versione originale sono sei:
1 la sorgente del messaggio;
2 la trasmissione del messaggio;
3 il trasmettitore;
4 il canale di trasmissione;
5 il ricevitore;
6 il destinatario.
Secondo questo modello, nel corso della comunicazione, i messaggi percorrono un tragitto lineare che parte da una sorgente, una persona che, per esempio, fa una telefonata e che parla attraverso un telefono, il trasmettitoreQuesto trasforma la voce in un segnale, il canale di trasmissione, che arriva a un altro telefono, il ricevitore, che consegna il messaggio alla persona con cui stiamo conversando, il destinatario.
Una delle osservazioni ulteriori di Shannon e Weawer è che il canale di trasmissione utilizzato può essere influenzato da forme di rumore, che possono disturbare o limitare la qualità della comunicazione, fino a compromettere la comprensione del messaggio. Nel caso di una telefonata, il rumore può essere costituto dalle interferenze della linea, mentre, nelle conversazioni dirette tra due individui, può essere rappresentato da quello che succede nel contesto in cui avviene la conversazione: il traffico in strada, la presenza di tante persone che parlano e così via.
Il modello Shannon-Weaver è stato ampiamente adottato in molti campi delle scienze sociali, perché semplice e chiaro, ma, allo stesso tempo, è stato oggetto di molte critiche, perché considerato troppo schematicoinappropriato a rendere conto delle interazioni sociali, in particolare perché non tiene in considerazione il contesto in cui avviene la comunicazione. In effetti, il modello si adatta abbastanza bene alla descrizione di una telefonata, ma non di forme di comunicazione più complesse, come per esempio le conversazioni che avvengono in tutti quei contesti in cui non è facile isolare il mezzo di comunicazione impiegato.
In ogni caso, pur nella sua semplicità, questo schema ci aiuta a isolare gli elementi essenziali e rilevanti di una comunicazione, ossia a capire che comunicare implica non solo due persone che si scambiano un messaggio, ma anche un sistema di trasmissione (il telefono o la lingua parlata) necessario per mettere in relazione chi comunica e che influenza ciò che viene effettivamente detto.
Il modello Shannon Weaver.

FINESTRE INTERDISCIPLINARI – Sociologia & Linguistica

LA SOCIOLINGUISTICA

La sociolinguistica è una branca della linguistica che si occupa dello studio degli aspetti sociali del linguaggio. In particolare, studia il ruolo del linguaggio nel costruire e mantenere i ruoli sociali all’interno della società e delle sue variazioni in rapporto alla collocazione sociale dei parlanti. Dal punto di vista del metodo, la sociolinguistica unisce l’attenzione nei confronti del linguaggio, tipica degli studi letterari, con le tecniche che caratterizzano la sociologia, ovvero l’osservazione diretta, le registrazioni delle conversazioni e le interviste qualitative.
Uno degli interessi dei sociolinguisti è cercare di isolare quelle caratteristiche linguistiche che sono utilizzate in situazioni sociali particolari o che sono tipiche di specifici ruoli o interazioni. Infatti, la scelta dei suoni, degli elementi grammaticali e dei vocaboli può essere influenzata non solo da fattori quali età, sesso, istruzione, occupazione, ma anche dalla posizione rivestita all’interno della struttura sociale. Per esempio, ci sono delle espressioni linguistiche che sono adatte per rivolgersi a una persona della propria età, ma che non sono invece adeguate per fare una domanda a una persona anziana (pensiamo all’uso del “lei” e del “tu”). Insomma, il presupposto fondamentale della sociolinguistica riguarda il fatto che il linguaggio verbale, oltre a essere una delle capacità innate degli esseri umani, dipende strettamente dalle relazioni sociali e dai ruoli che gli individui hanno nella società.
La sociolinguistica è una disciplina relativamente recente, poiché si è strutturata a partire dagli anni Sessanta del Novecento, soprattutto grazie al lavoro dello studioso americano William Labov (n. 1927), che ne è considerato il fondatore. Egli, infatti, si è occupato per primo di esaminare le relazioni fra modi differenti di usare il linguaggio e variabili sociali, come le classi sociali dei parlanti, la loro età o il sesso.

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1.3 LA COMUNICAZIONE COME CONTENUTO E COME RELAZIONE

Se il modello di comunicazione Shannon-Weaver è utile per offrire una visione schematica del processo di comunicazione, dal punto di vista sociologico è necessario tenere presente che comunicare non è solo trasmettere un contenuto o un messaggio nella maniera più efficace: la comunicazione è in primo luogo una forma di relazione sociale. In altre parole, se si vuole comprendere il ruolo della comunicazione all’interno della società, dobbiamo essere consapevoli che comunicare non si limita a realizzare un passaggio di informazioni o contenuti, ma contribuisce anche alla costruzione di un’interazione con gli altri. Infatti, mentre discipline come la linguistica si occupano della comunicazione rivolgendo l’attenzione soprattutto ai codici e alle forme utilizzate per comunicare, come gli elementi della lingua e le sue strutture morfologiche e sintattiche, la sociologia è interessata in primo luogo a capire come la comunicazione tra individui sia lo strumento principale attraverso il quale si sviluppano le interazioni e le relazioni sociali e, più in generale, in che modo prende forma ciò che definiamo società | ▶ APPROFONDIAMO |.
È importante tenere sempre presente che ogni forma di comunicazione è composta da almeno due differenti livelli, intrecciati tra loro:
  • un livello di contenuto, ovvero una dimensione che riguarda soprattutto il contenuto del messaggio che stiamo comunicando;
  • un livello di relazione, ossia una dimensione che riguarda il tipo di relazione che stiamo costruendo con la persona con cui stiamo comunicando.
    ESEMPIO: pensiamo a una situazione in cui due compagni di scuola hanno litigato furiosamente e non si parlano più da alcuni giorni. Dopo un po’ di tempo uno dei due va dall’altro per chiedergli se vuole partecipare a una partita di calcio. Come è facile comprendere, ciò che è più importante in questo scambio comunicativo non è tanto la partecipazione a una partita di calcio, il contenuto della comunicazione, quanto l’aspetto relazionaleche consiste nella richiesta implicita di interrompere il litigio e fare pace.
    In questo caso un contenuto viene utilizzato per un obiettivo prevalentemente relazionale. Infatti, se l’amico accetta di partecipare, ciò vorrà dire che egli, a sua volta, esprime la volontà di ricominciare a comportarsi come due amici e di mettere fine al litigio.
Un altro esempio molto comune riguarda i casi in cui qualcuno si rivolge a noi in maniera scortese o irrispettosa: in questi frangenti per definire il tipo di relazione che intercorre è fondamentale il modo in cui si comunicamentre il contenuto passa in secondo piano. Ci rendiamo conto, dunque, come la comunicazione sia spesso più una questione di relazioni sociali che di contenuti che vengono trasmessi.

approfondiamo  LA COMUNICAZIONE INTERCULTURALE

Una recente prospettiva per lo studio della comunicazione è quella che riguarda la comunicazione interculturale, ovvero lo studio dei processi comunicativi che avvengono tra culture e gruppi sociali diversi. Negli ultimi anni questa forma di comunicazione ha assunto sempre più importanza, grazie soprattutto ai processi di globalizzazione e alle migrazioni. Come abbiamo già avuto modo di osservare, se la società italiana è stata per lo più unificata dall’uso della medesima lingua nazionale, che ha soppiantato progressivamente i dialetti locali, le più recenti migrazioni ne hanno modificato il panorama sociale, culturale e linguistico. Oggi convivono nel territorio italiano tante culture e lingue diverse, quante sono le comunità di migranti che si sono stabilite nel corso del tempo nel nostro paese. Di fronte a ciò, soprattutto a partire dagli anni Novanta, anche in Italia si è affermata la necessità di sviluppare la comunicazione in prospettiva interculturale, tenendo conto cioè della necessità di comprendere in che modo le diverse provenienze religiose ed etniche possano influenzare lo scambio e l’interazione tra genti diverse. In altre parole, gli studi di comunicazione interculturale cercano di capire come individui e gruppi di paesi e culture diverse possano percepire il mondo che li circonda, non riducendo il problema comunicativo all’utilizzo di una lingua differente di più facile o difficile traduzione, ma concentrando l’attenzione sugli attributi sociali, sui modelli di pensiero e sulle culture dei diversi gruppi in gioco.

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1.4 LA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE

Un ambito particolarmente rilevante per comprendere il ruolo della comunicazione nelle relazioni sociali è costituito dalle forme di comunicazione interpersonale.
La comunicazione interpersonale è infatti caratterizzata non solo dal fatto di avvenire tra due o più persone, e non, per esempio, tra un individuo e un’istituzione o il servizio clienti di un’azienda, ma anche di essere a due vie, per cui, quando una delle due persone dice qualcosa, l’altra reagisce e risponde, dando luogo così a una interazione comunicativa.
Anche per questa ragione, la comunicazione interpersonale è basata fondamentalmente su una cooperazione reciproca. In altre parole, per la buona riuscita di un processo comunicativo che avviene tra due o più individui, essi devono collaborare in modo coordinato e cioè:
  • non devono parlare interrompendosi a vicenda;
  • devono rispondere in modo pertinente, senza cambiare argomento a metà della conversazione;
  • devono utilizzare un tono adeguato a sottolineare che sono lieti di partecipare alla conversazione, invece che esserne annoiati e non mostrare interesse.

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Le forme di comunicazione verbale e non verbale
Esistono differenti modi di sviluppare un processo di comunicazione interpersonale. Il più semplice e comune consiste nella comunicazione verbale attraverso l’uso del linguaggio, ossia di un codice condiviso.
Un differente livello di scambio riguarda le forme di comunicazione non verbale che avviene attraverso gesti, espressioni facciali, posizioni del corpo, intonazioni della voce e una serie di altri piccoli e grandi segnali che mandiamo, spesso inconsapevolmente, al nostro ascoltatore. Sappiamo bene, infatti, quanto sia diverso parlare con qualcuno guardandolo negli occhi e sorridendo oppure con lo sguardo rivolto a terra e imbronciati. Ma siamo anche consapevoli di quanto la gestualità che accompagna il livello verbale possa essere in grado di esprimere meglio i significati delle parole, rafforzandoli o rivelando un’intenzione diametralmente opposta.
Per comprendere la complessità delle forme di linguaggio non verbale possiamo suddividerle in tre sistemi: prossemico, cinesico e vocale.
  • Il sistema prossemico riguarda in primo luogo la postura assunta mentre parliamo e la distanza spaziale rispetto all’interlocutore. Il significato della conversazione è diverso, infatti, se parliamo con qualcuno avvicinandoci al suo orecchio, se siamo a pochi centimetri o ad alcuni metri di distanza. Nel primo caso stiamo costruendo una relazione intima col nostro interlocutore e ciò capita, infatti, solo con individui con cui abbiamo un rapporto molto confidenziale: un familiare, un amico o comunque una persona cui siamo legati affettivamente. Diversamente accade quando incontriamo per strada una persona che conosciamo poco o non conosciamo del tutto: in questo caso, in genere, restiamo piuttosto lontani, rimarcando così, fisicamente, anche la distanza relazionale che ci separa dall’interlocutore. Peraltro, tale situazione, che caratterizza interazioni più formali – con l’insegnante, un vigile urbano o un negoziante – richiede un tono di voce più elevato rispetto a quello utilizzato in una relazione confidenziale, e una più chiara scansione delle parole.
  • Il sistema cinesico riguarda tutte le forme di movimento del nostro corpo che esprimono qualcosa al nostro interlocutore. A volte tali movimenti non sono intenzionali e rivelano qualcosa di cui non siamo pienamente consapevoli, altre volte sono intenzionali e codificati all’interno di una specifica cultura: se ne ha un esempio quando esprimiamo esplicitamente un “no” oscillando un dito orizzontalmente o quando, riferendoci verbalmente alle dimensioni di un oggetto, ne mimiamo con le mani la grandezza. Ci sono, poi, tipi di movimenti che esprimono stati d’animo ed emozioniciò accade quando, per esempio, la tensione che deriva dal parlare in pubblico spinge qualcuno a grattarsi ripetutamente la testa, toccarsi i capelli o muovere in modo ossessivo una penna. Nelle forme espressive di tipo cinetico, la mimica facciale è quella più rivelatrice: si può sorridere, comunicando all’interlocutore la nostra disposizione positiva nei suoi confronti, oppure aggrottare le sopracciglia, esprimendo rabbia o diffidenza.
  • Il sistema vocale riguarda le forme dell’espressione verbale, e cioè il tono della voce, la velocità con cui parliamo, il ritmo della conversazione, così come la presenza di risate o sbadigli. Quando siamo arrabbiati con qualcuno tendiamo, infatti, a parlare in modo più veloce e concitato; quando vogliamo dire qualcosa di affettuoso assumiamo un tono sommesso e un livello sonoro basso; quando siamo allegri tendiamo ad alzare il volume della voce, inframezzando la nostra conversazione con delle risate. Insomma, con la nostra voce non esprimiamo solo contenuti linguistici, ma siamo costantemente inclini a modulare le nostre espressioni rispetto al tipo di relazione, di contesto e di stato d’animo che accompagna la comunicazione.

per immagini

La gestualità italiana secondo Bruno Munari

Bruno Munari (1907-1998) è stato un eclettico artista e designer, che si è dedicato anche alla realizzazione di giochi e alla didattica creativa. Nel Supplemento al dizionario italiano, pubblicato nel 1963, egli propone un catalogo dei gesti più espressivi tipici degli italiani: mimiche facciali, segni con le mani, atteggiamenti del corpo, senza escludere i gesti più volgari. È nota, infatti, a livello internazionale, la caratteristica degli italiani di “parlare con i gesti”, sottolineando in tale modo come anche la gestualità e i movimenti del corpo costituiscano una particolare e diversa “lingua” legata a una determinata società.
Riportiamo l’immagine di uno dei gesti più comuni, intitolato da Munari “Che vuoi?” e descritto nella seguente maniera: «Le estremità delle cinque dita si riuniscono rapidamente e formano un cono con il vertice in alto. La mano può restare ferma o essere scossa più o meno velocemente, secondo che la domanda è fatta con gentilezza o con impazienza. Molto usato a Napoli».

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1.5 LA TEORIA DELL’AGIRE COMUNICATIVO

Una delle più importanti teorie sociologiche che mettono in relazione società e comunicazione è la teoria dell’agire comunicativo, elaborata negli anni Settanta del secolo scorso dal filosofo e sociologo tedesco Jürgen Habermas | ▶ L’AUTORE |. Habermas è stato uno degli ultimi esponenti della Scuola di Francoforte | ▶ UNITÀ 4, p. 137 |, corrente di pensiero che egli comunque criticò per l’eccessivo pessimismo rispetto alla possibilità delle persone di agire in modo cooperativo e consensuale.
La teoria di Habermas distingue fra:
  • azioni strumentali, che hanno come fine il raggiungimento di un determinato obiettivo, come costruire un ponte, aggiustare un motore, scavare un pozzo e così via;
  • azioni comunicative, che hanno come fine fondamentale quello di stabilire una relazione e trovare un accordo e un’intesa con gli altri membri della società.
Per Habermas, dunque, la comunicazione è una delle due componenti principali della vita sociale e dell’agire delle persone. Secondo il suo punto di vista, il modo in cui le persone interagiscono tra loro è legato più a una dimensione comunicativa e alla ricerca di un accordo che a una dimensione di tipo strumentale e strategico, finalizzata a ottenere un profitto o a raggiungere un obiettivo.
ESEMPIO: quando in una classe si devono formare due gruppi per svolgere un certo compito, la scelta degli studenti che ne faranno parte non è fatta solo in base alla loro capacità di raggiungere nel migliore dei modi un determinato obiettivo, ma anche in base a legami di amicizia, simpatie e in generale alla voglia di fare qualcosa insieme.
Per Habermas, dunque, una delle caratteristiche della vita sociale è che essa è finalizzata alla comprensione e all’accordo reciproci più che al raggiungimento degli obiettivi di interesse personale.

l’autore  Jürgen Habermas

Jürgen Habermas (n. 1929) è il più importante filosofo tedesco della secondo metà del XX secolo, nonché sociologo e influente studioso politico. Egli si forma con gli studiosi della Scuola di Francoforte e diventa allievo dei fondatori della Teoria critica, come Max Horkheimer, Theodor Adorno e Herbert Marcuse. Nel 1954 a Bonn ottiene il dottorato di ricerca in filosofia, con una tesi su Friedrich Schelling. Successivamente, lavora come assistente di Theodor Adorno all’Istituto di ricerca sociale di Francoforte e nel 1964 succede a Max Horkheimer come professore di filosofia e sociologia. Dopo dieci anni, come direttore del Max Planck Institute di Starnberg, torna a Francoforte, dove si ritira nel 1994.
Le sue opere più note riguardano il rapporto tra società e comunicazione. Nello studio Storia e critica dell’opinione pubblica (1962) analizza la trasformazione della sfera pubblica dal punto di vista dei mutamenti dello Stato e dei media (come la stampa o la radio), sottolineando come, nelle società moderne, il confine tra sfera pubblica e privata tenda sempre più ad assottigliarsi e l’opinione pubblica perda in misura crescente il suo valore democratico a causa dell’influenza dei mezzi di comunicazione. Invece, nel complesso lavoro Teoria dell’agire comunicativo
(1981), pubblicato in due densi volumi, pone le basi teoriche per distinguere la comunicazione come forma di manipolazione dalla comunicazione come strumento per costruire una società più democratica, capace di risolvere i conflitti e le divergenze. Questo lavoro sulla comunicazione ha influenzato profondamente molte discipline, tra cui il diritto, la filosofia, le scienze politiche, oltre naturalmente alla sociologia.

per lo studio

1. In che senso l’uso di una lingua comune contribuisce a costruire relazioni e identità?
2. Come funziona il modello di comunicazione di Shannon e Weaver? E quali sono le maggiori critiche che possiamo rivolgergli?
3. Quali sono le dimensioni della comunicazione non verbale?


  Per discutere INSIEME 

Prova a fare l’esempio di una situazione comunicativa da te vissuta recentemente a scuola in cui la dimensione della relazione è preponderante rispetto a quella del contenuto. Discutine in classe con i tuoi compagni, provando a mettere in evidenza quali sono gli aspetti relazionali in gioco nell’interazione che hai descritto.

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane