T1 - Chiara Saraceno e Simonetta Piccone Stella, Il termine “genere”

PAROLA D’AUTORE

|⇒ T1  Chiara Saraceno e Simonetta Piccone Stella

Il termine “genere”

In questo testo, le sociologhe italiane Chiara Saraceno e Simonetta Piccone Stella sintetizzano il percorso di riflessione che, intrecciando esperienze di attivismo politico e studi scientifici, ha portato ad assumere il termine “genere” come concetto esplicatore dell’organizzazione sociale dei sessi. Le due studiose partono dalle parole dell’antropologa statunitense Gayle Rubin – colei che nel 1975 per la prima volta ha utilizzato l’espressione “sistema sesso/genere” – per parlare delle differenze culturali che definiscono le separazioni tra maschile e femminile e affrontare le varie dimensioni entro cui si producono e si riproducono le dinamiche di genere nelle società odierne.

Il genere è un modo di classificare, di indicare l’esistenza di tipi. In particolare, il genere propone un nome per il modo sessuato con il quale gli esseri umani si presentano e sono percepiti nel mondo: nella società convivono due sessi e il termine genere segnala questa duplice presenza. Si tratta dunque di un termine binario, non univoco: gli uomini, come le donne, costituiscono il genere. Non è superfluo sottolineare questo punto, poiché l’equivoco iniziale che ha accompagnato la nascita del concetto – secondo il quale genere è un termine con cui le donne hanno scelto di classificare se stesse in quanto esseri sociali – si protrae tuttora nel senso comune e nella pratica di ricerca. Ciò certamente dipende dal fatto che uno solo dei generi, appunto le donne, hanno promosso questo punto di vista, ne hanno incentivato l’uso e si sono mostrate interessate ad un consolidamento del suo statuto teorico. Secondo tale equivoco, genere avrebbe sostituito semplicemente la vecchia dizione condizione femminile, coniata nel secolo scorso, modernizzando il linguaggio. Ma così non è, per due motivi. In primo luogo, perché il concetto di genere, a differenza di quello di condizione femminile, non si limita a segnalare un’esperienza di subordinazione, o oppressione, delle donne rispetto agli e da parte degli uomini, ma pone in modo radicale la questione della costruzione sociale della appartenenza di sesso. In secondo luogo, nega la possibilità che la condizione femminile – i modi concreti in cui si danno esperienze e collocazioni sociali di donne, inclusa la subordinazione e l’oppressione – possa venir analizzata in modo isolato, separato da quella maschile. Si è visto infatti che soltanto l’attiva influenza dei due sessi l’uno sull’altro, i loro legami, i loro contrasti erano la condizione femminile e la condizione maschile, quelle modalità di vita cioè in cui i due sessi intrecciano la propria esistenza. Genere dunque, oltre che un codice binario, è anche un codice che implica reciprocità, dialettica costante fra le sue componenti di base.

Uomini e donne, maschile e femminile, relazioni e interazioni, infine il modo con cui questi due tipi umani esperiscono, subiscono e modificano nel tempo il rapporto tra loro e col mondo, tutto ciò è incluso nello statuto del termine genere. […]

La formulazione del concetto di genere, come quello di ruoli sessuali, deriva la sua origine non tanto dalla presa d’atto neutrale di una realtà sessuata, quanto dalla constatazione di uno squilibrio al suo interno. Il genere è il primo terreno nel quale il potere si manifesta, osserva Joan Scott (1988); nominare il genere significa immediatamente evocare il potere. I termini di questa storica partita sono noti. Le differenze tra i sessi in natura – il corpo femminile dotato di caratteristiche e capacità proprie, diverse da quelle maschili – si prestano (si sono prestate) alla costruzione di una disparità storica in virtù della quale la divisione del lavoro, i compiti quotidiani, l’accesso alla sfera intellettuale e simbolica, si sono organizzati nel tempo lungo una profonda asimmetria, a discrimine e svantaggio del genere femminile.

Rispondi

1. Qual è la relazione che intercorre tra la condizione femminile e il concetto di genere?

2. In che modo il potere si manifesta attraverso la divisione di genere?

3. Descrivi una situazione della vita di tutti i giorni in cui, secondo te, è possibile osservare forme di divisione di genere.

 >> pagina 323 

|⇒ T2  Saskia Sassen

Che cosa si intende con “globalizzazione”

In questo brano Saskia Sassen, una delle più note sociologhe contemporanee, delinea le caratteristiche principali del fenomeno della globalizzazione e in quale modo esse apportino dei nuovi elementi alla riflessione sociologica e allo studio dei processi politici.

Processi transnazionali quali la globalizzazione economica, politica e culturale lanciano una serie di sfide teoriche e metodologiche alle scienze sociali. Sfide derivate dal fatto che il globale, sia un’istituzione, un processo, una pratica di discorso, un elemento immaginario, trascende il quadro esclusivo degli stati nazionali ma risiede, nello stesso tempo, almeno in parte, in territori e istituzioni nazionali. […] Se il globale, come sostengo, risiede in parte, nel nazionale, diventa evidente che la globalizzazione, nelle sue numerose e svariate forme, mette in discussione due assunti fondamentali delle scienze sociali. Primo, quello che dà per scontato, in forma più o meno esplicita, che lo stato-nazione sia il contenitore del processo sociale. Secondo, quello che presuppone la corrispondenza tra nazionale e territorio nazionale, ossia: se un processo o una condizione sono localizzati in una istituzione nazionale o in un territorio nazionale, allora devono essere nazionali. Entrambi questi assunti si riferiscono a condizioni persistenti, seppur non sempre totalmente, nella maggior parte della storia dello stato moderno, in particolare dopo la Prima guerra mondiale. […] La differenza dell’oggi è che questo nesso si è in parte, ma effettivamente, dissolto. […]

Che cosa intendiamo dire con il termine “globalizzazione”? A mio modo di vedere, il termine comprende due distinti insiemi di dinamiche. Uno, riguarda la formazione di istituzioni e processi esplicitamente globali, quali l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), i mercati finanziari globali, il nuovo cosmopolitismo, i tribunali internazionali dei crimini di guerra. Pratiche e forme organizzative per il cui tramite tali dinamiche costituiscono ciò che si ritiene globale per eccellenza. […] Il secondo insieme di dinamiche comprende processi la cui scala non è, necessariamente, a un tale livello di globalità; ma che, sostengo, fanno parte della globalizzazione. […] Pur essendo localizzati in ambiti nazionali, e persino subnazionali, questi processi fanno parte della globalizzazione perché concernono sia reti transconfinarie ed entità che connettono molteplici processi e attori locali o nazionali, sia la ricorrenza di particolari questioni o dinamiche in un numero crescente di Paesi o località. Vi includo, per esempio: reti transfrontaliere di attivisti espressione della società civile impegnati in specifiche lotte localizzate ispirate a un programma globale più o meno esplicito, come si verifica nel caso di numerose organizzazioni ambientaliste o di difesa dei diritti umani.

Rispondi

1. Quali dinamiche caratterizzano per Saskia Sassen la globalizzazione?

2. Perché la globalizzazione mette in discussione alcuni assunti sociologici classici, come quello dello Stato-nazione?

3. Elenca una serie di situazioni della vita di tutti i giorni che, a tuo avviso, sono influenzate dai processi di globalizzazione e motiva la tua scelta.

 >> pagina 324 

|⇒ T3  Alessandro Dal Lago

Gli imprenditori morali della macchina della paura

In questo estratto dal libro intitolato Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, il sociologo Alessandro Dal Lago punta l’attenzione sui meccanismi culturali attraverso i quali, nell’antichità come ai giorni nostri, le società tendono a costruire paure e timori attorno agli stranieri, alle persone differenti e, soprattutto, ai migranti. In particolare, l’autore punta l’attenzione sul ruolo degli “imprenditori morali”, ovvero figure pubbliche che si fanno portatrici di particolari idee e richieste, come sono in questo caso le accuse nei confronti di stranieri e migranti.

Ogni discriminazione o persecuzione degli stranieri, interni o esterni, viene tradizionalmente attuata mediante il ricorso a meccanismi di vittimizzazione dell’aggressore e colpevolizzazione delle vittime. Gli aggressori sono solitamente “vittime” di torti da raddrizzare o cittadini deboli o abbandonati dalle istituzioni che si coalizzano per fare giustizia; mentre gli aggrediti o i discriminati sono corpi estranei, invasori, corruttori o comunque nemici della società in difesa. Spesso, il ruolo di difensori o vendicatori della società offesa viene assunto dagli imprenditori morali, avanguardie che si accollano il compito di scuotere un’opinione pubblica passiva e inconsapevole. Talvolta, singole istituzioni o centri di potere influenti mobilitano, mediante denunce appropriate, la società contro individui o gruppi. La colpevolizzazione delle vittime assume naturalmente forme diverse e varie di intensità a seconda dell’organizzazione politica della società, dell’esistenza e della forza di un’opinione pubblica indipendente dal potere politico.

La persecuzione degli stranieri, interni (eretici, streghe e devianti di ogni tipo) o esterni (ebrei e zingari), è un fenomeno ricorrente della storia europea. Le prime crociate, e soprattutto quelle popolari, erano accompagnate da una “risoluta” caccia agli ebrei, come ricordano le cronache del tempo. […] Se in passato questo tipo di paura collettiva ha alimentato le forme estreme di razzismo, oggi rinasce come preoccupazione di senso comune nella richiesta di controlli medici degli stranieri e si esprime in una “patologizzazione” degli stranieri in quanto tali. […] Oggi, diversamente dai tradizionali nemici esterni e interni, i migranti entrano in contatto con società ufficialmente laicizzate ed estranee ai miti collettivi. In esse operano però imprenditori morali infinitamente più efficaci che in passato, capaci non solo di comunicare istantaneamente la paura a un numero enorme di persone, ma anche di alimentarla e in alcuni casi di crearla: i mezzi di comunicazione di massa. Dicerie, leggende metropolitane, pregiudizi e paure circolanti nelle società locali possono diventare, per effetto dell’informazione di massa, prima risorse simboliche e poi verità sociali oggettive. Stereotipi che probabilmente hanno sonnecchiato per secoli nella memoria collettiva – lo straniero come untore, vagabondo incontrollabile, orco, ladro di bambini o stupratore di donne – tornano in circolo grazie ai media e trovano conferma in episodi di cronaca nera, veri o falsi, reali o virtuali, ma comunque ideali per alimentare le paure profonde.

Rispondi

1. Chi sono secondo l’autore gli imprenditori morali che contribuiscono a colpevolizzare i migranti?

2. Cosa unisce le persecuzioni di ebrei o zingari nel corso della storia con le accuse ai migranti di oggigiorno?

3. Ti vengono in mente esempi, nel mondo contemporaneo, di come gli stranieri vengono colpevolizzati da parte di qualche imprenditore morale?

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane