1.1 Sesso e genere
Nel 1935 l’antropologa Margaret Mead (1901-1978), mettendo a confronto diverse società tradizionali della Nuova Guinea, ebbe alcune intuizioni importanti rispetto a quello che nella vita di tutti i giorni siamo soliti definire con le categorie di “maschile” e “femminile”. Mead notò, per esempio, che nel gruppo degli Arapesh i membri di entrambi i sessi sembravano sensibili e accoglienti, caratteristiche che nella nostra cultura vengono spesso considerate come tipicamente “femminili”. Gli uomini e le donne appartenenti alla tribù dei Mundgumor, invece, erano più aggressivi e duri e quindi molto più vicini ai tratti caratteriali “maschili”.
Questi resoconti dettero vita a molte discussioni e furono oggetto di aspre critiche. Com’era possibile che esistessero società in cui quello che per noi occidentali era definibile come “tipicamente maschile” fosse un tratto comune a entrambi i sessi? Com’era possibile che non ci fosse una netta separazione fra tratti caratteriali, comportamenti e ruoli maschili e femminili?
In parallelo ai lavori di Mead, altri antropologi descrivevano popolazioni e culture all’interno delle quali l’essere “uomini” o “donne” non dipendeva da caratteristiche biologiche ma, per esempio, da una libera scelta che gli individui compivano giunti all’età dell’adolescenza.
Sempre nella seconda metà degli anni Trenta, inoltre, si faceva strada in sociologia la teoria dei ruoli, che portò i sociologi a parlare di “ruolo sessuale”. Ovvero, nel corso della socializzazione primaria e secondaria, a casa come a scuola, non solo impariamo a comunicare e comportarci seguendo delle regole, ma apprendiamo anche che in qualità di “maschi” o “femmine” talvolta siamo tenuti a seguire regole diverse. Ciò significa che, al pari di qualsiasi ruolo, il comportarsi “da uomini” o “da donne” risponde a regole e aspettative che sono anche sociali e che dipendono quindi dalla società e dalla cultura in cui si nasce e si vive. Non a caso, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso era “normale” che gli uomini lavorassero e le donne si occupassero delle faccende domestiche e della cura dei figli, mentre oggi uomini e donne partecipano più equamente tanto al mondo del lavoro, quanto a quello della cura dei figli.
All’inizio del Novecento, le prime femministe iniziarono a mettere in discussione la posizione delle donne nella società e quindi a rifiutare la condizione di inferiorità che le caratterizzava, relegandole ai ruoli di “madre” e “moglie”, accoglienti, docili e al servizio della famiglia. Ma fu la filosofa e attivista femminista francese Simone de Beauvoir | ▶ L’AUTrice | a sfidare il senso comune dell’epoca con il libro Il secondo sesso. In questo testo, pubblicato nel 1949 e ancora oggi riferimento imprescindibile per il movimento femminista, l’autrice mette in rilievo la condizione subordinata che nel corso della storia è stata attribuita alle donne, le circostanze che portano a credere alla loro inferiorità e gli effetti che tutto ciò produce sulle loro scelte di vita. La tesi di de Beauvoir è che il genere femminile sia sempre stato considerato come “secondo” e, quindi, definito per differenza e collocato in posizione svantaggiata rispetto al genere dominante, ovvero quello maschile. Non solo, de Beauvoir fu la prima studiosa a mettere in discussione il ▶ binarismo di genere e la relazione diretta tra il “sesso”, inteso come un attributo biologico, e il “genere”, inteso come categoria sociale e culturale. L’essere donne o uomini non è, quindi, una questione naturale, ma è il prodotto di variabili culturali che dipendono dai modi di organizzare la società da un punto di vista sociale, economico e giuridico. Celebre, in proposito, è diventata la sua frase: «donna non si nasce, lo si diventa».
Cos’è allora il “⇒ genere”? E come lo possiamo distinguere dal “sesso”?
Con sesso intendiamo il corredo genetico, ovvero l’insieme dei caratteri fisici, anatomici e biologici che caratterizzano i corpi dei maschi e delle femmine. Il genere rappresenta invece l’insieme dei simboli, dei comportamenti, degli atteggiamenti e delle aspettative che la società attribuisce al maschile e al femminile. Detto in altre parole, il genere è una costruzione sociale, ossia il risultato dell’insieme delle caratteristiche biologiche e dei tratti culturali assegnati storicamente e socialmente al maschile e al femminile.