3. Fare ricerca sociale: le tecniche di raccolta dei dati

3. Fare ricerca sociale: le tecniche di raccolta dei dati

3.1 COME RACCOGLIERE I DATI

Una volta stabilito il disegno della ricerca, si tratta di passare all’azione, quindi di dedicarsi alla raccolta di dati empirici utili a testare le ipotesi formulate o comunque a gettare luce sul fenomeno indagato. La ricerca sociale dispone di svariate tecniche di raccolta dati, la cui scelta dipende ancora una volta e in buona parte dall’orientamento metodologico (quantitativo o qualitativo) del ricercatore. In ogni caso, come già accennato a proposito del disegno della ricerca, è importante che le tecniche di raccolta dati risultino appropriate rispetto alla domanda di ricerca iniziale.
Inoltre, ogni tecnica produce il suo dato nel senso che, se utilizziamo dei questionari o dei dati statistici già disponibili, raccoglieremo principalmente numeri; se conduciamo delle interviste, registreremo una serie di discorsi; se ci dedichiamo all’osservazione diretta, collezioneremo soprattutto appunti e documenti tratti dal campo di studio.
Ovviamente, una tecnica non esclude l’altra e anzi nella sociologia contemporanea, come abbiamo già detto, si è diffuso l’uso dei cosiddetti mixed methods (“metodi misti” o “metodi qualiquantitativi”), basati proprio sull’idea che sia utile cercare di studiare i fenomeni con un orientamento quanto più possibile multidimensionale. Le tecniche di raccolta dati di cui si serve la ricerca sociale non vanno quindi pensate come in conflitto o in competizione tra loro, bensì come un continuum di strategie per interrogare empiricamente la realtà e i fenomeni oggetto di studio.

3.2 I DOCUMENTI

La sociologia, fin dalle sue origini, ha fatto ricorso all’analisi di documenti, intendendo, con questa parola, materiali anche molto diversi tra loro, che comunque si possono raggruppare in due categorie:
  • i materiali prodotti per i più svariati motivi (lettere, diari, articoli di giornale, testimonianze scritte, materiale proveniente da archivi storici) e che il ricercatore ritiene utili ai fini della ricerca, come nel caso dell’indagine di Thomas e Znaniecki sugli immigrati polacchi | ▶ UNITÀ 4, p. 148 |. In questo caso si parla di analisi documentale;
  • i documenti e le informazioni generate da ricerche altrui o da agenzie istituzionali, che il ricercatore riutilizza per le sue finalità. Sono i cosiddetti dati di secondo livello, come nel caso dello studio sul suicidio di Durkheim | ▶ UNITÀ 3, p. 86 |. In questo caso si parla di analisi secondaria dei dati.
Tanto per l’analisi documentale, quanto per quella dei dati di secondo livello, non c’è molto da dire sulle tecniche di raccolta dati, perché questi documenti esistono già e il sociologo si limita a raccoglierli. Il vero problema, quando è presente molto materiale disponibile, è la sua selezione, che si traduce nel decidere se procedere con la tecnica della saturazione, esaminando tutto il materiale disponibile finché le informazioni che si ottengono non diventano ripetitive, o effettuare qualche tipo di campionamento, lavorando quindi solo su una parte dei documenti.
Il fatto che i documenti preesistano, peraltro, non significa che siano immediatamente accessibili al ricercatore. Infatti, i documenti conservati in archivi, fondazioni, associazioni e altri enti pubblici o privati non sempre sono subito disponibili per la consultazione, anzi facilmente ci si troverà di fronte a complicazioni burocratiche e sarà necessario motivare la propria richiesta.

 >> pagina 251 
Il reperimento dei dati di secondo livello
In Italia, un riferimento importante per quanto riguarda l’analisi secondaria dei dati è costituito dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat), che si occupa dei decennali censimenti della popolazione e che conduce su base annuale indagini campionarie su una pluralità di aspetti (consumi, lavoro, salute, sicurezza, tempo libero ecc.), nonché numerose indagini economiche (contabilità nazionale, prezzi, commercio estero, istituzioni, imprese, occupazione ecc.).
L’Istat rende periodicamente pubblici i risultati delle rilevazioni compiute, insieme ai “⇒ metadati” che le accompagnano, utili a comprendere e utilizzare correttamente le informazioni, come la numerosità del campione, le procedure per la definizione degli indici, le classificazioni adottate o il glossario dei termini tecnici utilizzati. Le informazioni sono reperibili gratuitamente sul sito web dell’Istat sotto forma di pubblicazioni, banche dati e file di dati.
A livello europeo, un archivio dati spesso preso a riferimento dai sociologi è quello dell’Eurobarometro. Si tratta di un’iniziativa condotta a partire dal 1973 nei paesi appartenenti alla Comunità europea e volta a rilevare opinioni e atteggiamenti a livello politico e sociale. I temi indagati riguardano l’immigrazione, la condizione delle donne, l’integrazione europea, l’orientamento politico, la fiducia nei confronti dello Stato, i valori di riferimento, la soddisfazione percepita in relazione alla propria vita quotidiana e così via. La ricerca coinvolge un campione rappresentativo di circa 1000 persone per ogni paese, di età superiore ai 15 anni, intervistate presso il loro domicilio.
Per quanto ogni campione nazionale possa essere studiato singolarmente, come caso a sé stante, i dati raccolti si prestano soprattutto a essere comparati a livello internazionale, così da analizzare come e quanto varino i diversi atteggiamenti a livello europeo. Di rilevazione in rilevazione, il campione di soggetti coinvolti cambia, ma molte domande vengono ripetute periodicamente e ciò rende possibile utilizzare i dati raccolti anche per osservare come si modifichino nel tempo gli atteggiamenti.
Altra importante banca dati di riferimento a livello europeo è l’Ufficio Statistico dell’Unione europea (Eurostat), che raccoglie, elabora e mette gratuitamente a disposizione attraverso il suo sito Internet diversi tipi di dati riguardanti gli Stati membri dell’Unione europea.
 >> pagina 252 

I documenti di origine massmediatica
Documenti altrettanto importanti, ma del tutto diversi, sono quelli prodotti dai mass media, per avere accesso ai quali non è più neanche necessario recarsi in biblioteca o in videoteca: infatti, sono sempre più frequentemente disponibili in Internet, liberamente o a pagamento, annate intere di quotidiani, periodici o trasmissioni televisive. Altri documenti o audiovisivi, utili e di facile accesso, si trovano, inoltre, su siti quali Vimeo, YouTube, nonché sui social network.
Questo materiale empirico proveniente dai media riveste una duplice valenza: può costituire l’oggetto stesso della ricerca (per esempio, una ricerca sulle rappresentazioni mediatiche di un certo fenomeno sociale), ma può anche essere considerato utile fonte di informazione, alternativa o aggiuntiva, su fenomeni o eventi che sono il vero oggetto di studio. Per esempio, se stiamo conducendo una ricerca sulla moda intervistando esperti del settore, l’analisi dei siti web può essere una fonte infinita di informazioni per realizzare le interviste in modo più avveduto. In pratica, questi documenti assumono il ruolo di testimonianze significative circa il fenomeno al centro dello studio.
Una precisazione è però necessaria: data la quantità di materiali anche falsi, contraffatti e/o inesatti che circola sul web, sarà sempre necessario verificare accuratamente la veridicità della fonte e del documento stesso; se quando entriamo in un archivio storico o in una biblioteca possiamo dare per scontata l’autenticità del materiale che stiamo consultando, navigare in Internet richiede una prudenza decisamente maggiore.
Sempre grazie alle possibilità che offrono le tecnologie contemporanee, anche in sociologia si è ormai diffuso l’uso dei cosiddetti big data, ovvero dati che, per via del loro volume, della velocità di elaborazione e della loro varietà, danno vita a delle banche dati in passato inconcepibili.

 >> pagina 253 

  esperienze attive

Le notizie nei quotidiani Prendete a riferimento tre quotidiani nazionali e uno locale. Quali notizie sono riportate in prima pagina? A quali notizie viene dato più spazio? Quali sono le parole più ricorrenti in riferimento alle diverse notizie?

3.3 SONDAGGI E SURVEY

Una delle tecniche di rilevazione dei dati più utilizzata nella ricerca sociale, utile ogniqualvolta si vogliano conoscere le opinioni di una data popolazione o gruppo sociale in merito a un certo argomento, consiste nell’intervistare in forma strutturata e diretta un numero esteso di persone, che devono essere rappresentative della popolazione di riferimento, se non coincidere con la popolazione vera e propria. È questo il caso dei censimenti, che si occupano di raccogliere informazioni numeriche sulla popolazione residente, sulle abitazioni e sugli edifici.
Intervistare in forma diretta un numero esteso di persone può avere due scopi:
  • uno scopo esplorativo, quando ci interessa raccogliere informazioni a proposito di una data popolazione o accertare la consistenza di un fenomeno, come nelle indagini di mercato o degli exit poll elettorali. In questi casi parleremo di sondaggi;
  • uno scopo esplicativo, quando, oltre a raccogliere informazioni e sondare un fenomeno, siamo interessati alle sue origini, alle relazioni causali a esso connesse e alle sue interrelazioni con altri fenomeni. In questi casi in sociologia si usa l’espressione inglese survey, traducibile in italiano con inchiesta campionaria”, in quanto solitamente questo tipo di indagine viene condotto su un campione rappresentativo della popolazione.
Che si tratti di un sondaggio o di una survey, il campionamento della popolazione di riferimento e la predisposizione dei questionari saranno i due passaggi essenziali per essere certi che i risultati dell’analisi non siano viziati da errori di impostazione. Tutti i sondaggi hanno sempre un margine d’errore. Ci sono però fonti di errore di carattere più sistematico che possono derivare per esempio dalla formulazione delle domande, dalla modalità di raccolta dei dati e/o dall’individuazione degli intervistati.

 >> pagina 254 

3.4 IL QUESTIONARIO

Il questionario è lo strumento prediletto dalla ricerca sociale di stampo quantitativo. È una modalità di raccogliere informazioni interrogando direttamente i soggetti in merito alle loro opinioni o atteggiamenti. Tanto le domande quanto le risposte sono standardizzate, così da garantire la comparabilità delle risposte e la possibilità di utilizzare gli strumenti della statistica in sede di analisi. Non a caso, i questionari si basano solitamente su domande chiuse, le cui risposte, cioè, sono dicotomiche (sì/no; uomo/donna; occupato/disoccupato) o sono comunque state predeterminate dal ricercatore, come nell’esempio a seguire.

COME RAGGIUNGE IL SUO LUOGO DI LAVORO?
A piedi
In autobus
In treno
In macchina
In bicicletta
Altro (specificare)

In sociologia è inoltre molto diffuso l’uso della cosiddetta Scala di Likert (dal nome del suo ideatore, Rensis Likert, nel 1932), utile a misurare il livello di favore o sfavore.


ESPRIMA QUANTO SI TROVA D’ACCORDO CON LA SEGUENTE AFFERMAZIONE: “IN ALCUNI CASI, RUBARE PUÒ ESSERE GIUSTIFICABILE”
1 = per niente; 2 = poco; 3 = abbastanza; 4 = molto; 5 = moltissimo

La scala non deve necessariamente andare da 1 a 5: a seconda di ciò che interessa conoscere, l’ampiezza della scala può ovviamente essere ridotta o estesa, per esempio da 1 a 3 (poco/abbastanza/molto), oppure da 1 a 10 (in questo caso la gradazione viene espressa solo in cifre, senza locuzioni verbali).
In un questionario si possono inserire anche domande aperte, che non presentano una gamma di risposte predefinite e che permettono quindi all’intervistato di esprimersi con le parole che ritiene più opportune. Questa tipologia di domande suscita le risposte più varie (pensate a una domanda come: “Che cosa è importante nell’amicizia?”), e quindi risulta complicata da codificare a posteriori; per questo motivo se ne fa un uso limitato all’interno dei questionari. Al tempo stesso, sono le uniche domande che danno al ricercatore la possibilità di scoprire cose alle quali non avrebbe mai pensato.
I questionari sono sempre anonimi e possono essere somministrati attraverso interviste faccia a faccia, interviste telefoniche o essere inviati per posta al domicilio dei soggetti selezionati. In quest’ultimo caso, il questionario sarà “auto-somministrato”, poiché non ci sarà un intervistatore a leggere le domande e a segnare le risposte.

 >> pagina 255 
Il linguaggio del questionario
Sia che il questionario venga compilato da un intervistatore sia che venga auto-somministrato, il modo in cui sono formulate le domande risulterà essenziale. Ciò significa innanzitutto che il linguaggio utilizzato dovrà essere comprensibile e adeguato agli intervistati: per esempio, se contiamo di intervistare degli adolescenti, non potremo utilizzare lo stesso linguaggio che useremmo con degli anziani. Inoltre, dovrà mantenersi quanto più possibile neutro, evitando quindi termini o espressioni troppo connotate da un punto di vista culturale, morale o politico.
ESEMPIO: nel 1933, negli Stati Uniti, in uno dei primi sondaggi condotti in proposito, alla domanda: “Lei pensa che gli Stati Uniti dovrebbero permettere discorsi pubblici contro la democrazia?”, il 75% degli intervistati rispondeva “No”. Tuttavia, se la domanda veniva formulata nei termini di: “Lei pensa che gli Stati Uniti dovrebbero proibire discorsi pubblici contro la democrazia?”, i “Sì” raggiungevano solo il 54%. Il significato di “proibire” è equivalente a quello di “non permettere”, ma è evidente che il senso del verbo “proibire” risulta molto più categorico rispetto al più blando “non permettere”.
Per quanto non esista un modello astratto per la formulazione delle domande di un questionario, oltre alla semplicità e alla neutralità del linguaggio, è possibile dare alcuni suggerimenti generali.
  • Formulare le domande in modo chiaro e conciso. Se la domanda è troppo lunga o è espressa in forma troppo articolata, il rischio è che l’intervistato ne colga il senso solo parzialmente.
  • Evitare domande tendenziose. Può accadere che, senza accorgersene, il ricercatore costruisca la domanda in modo tale per cui questa “suggerisca” la risposta. Per esempio, una domanda quale “Lei è d’accordo circa il fatto che la pena di morte andrebbe abolita, vero?” riduce la probabilità che l’intervistato si esprima sentendosi libero da condizionamenti. Oppure una domanda come “Nel suo tempo libero lei si limita a guardare la televisione o fa anche altro?” lascia intendere che guardare la televisione sia limitativo e dunque sia preferibile fare anche altro.
  • Evitare domande con risposte non univoche. Ipotizziamo una domanda quale: “Non si possono accogliere tutti i migranti in quanto portano via il lavoro agli italiani e tra di loro possono esserci dei terroristi: lei è d’accordo o contrario?”. Può essere che chi si dichiara d’accordo condivida sia il fatto che “i migranti portano via il lavoro agli italiani” sia che “tra di loro possono esserci dei terroristi”, oppure che condivida solo una delle due affermazioni. Lo stesso vale per chi dovesse dichiararsi in disaccordo.
  • Evitare domande astratte o imbarazzanti. Ipotizziamo di voler indagare l’atteggiamento di una data popolazione nei confronti degli immigrati: “Secondo lei gli immigrati vanno trattati come noi?” è una domanda molto generale, la cui risposta ci dirà quindi poco circa il concreto atteggiamento dell’intervistato. Al contrario, chiedere “Sarebbe disposto ad affittare la casa a degli immigrati?” permette di avere riscontri più concreti. Diverso è il caso delle domande che toccano questioni delicate, quali i comportamenti sessuali o il consumo di sostanze stupefacenti, che molto spesso inducono le persone a mentire.
In riferimento a quest’ultimo punto, ma più in generale alla dinamica che facilmente può venirsi a creare nel corso di una qualunque intervista, è importante ricordare il ruolo giocato dalla desiderabilità sociale. Con questa espressione si intende la valutazione condivisa di un particolare atteggiamento o comportamento all’interno di una determinata cultura. Per esempio, domandare a qualcuno se ritiene giusto picchiare i bambini è pressoché inutile, in quanto la nostra cultura condanna la violenza e in particolare quella sui minori, per cui pochissime persone, anche se protette dall’anonimato, saranno disposte a dichiarare la loro reale opinione. Se la domanda riguarda un atteggiamento o un comportamento fortemente connotato socialmente, vi è dunque il rischio concreto che gli intervistati risponderanno come pensano “si debba” o sia “giusto” rispondere

 >> pagina 256 
La conduzione di un questionario
Un’ultima questione ha a che fare con l’ordine e la successione delle domande. In un questionario ben fatto, le domande non sono poste in ordine casuale, ma seguono uno sviluppo logico, che fa sì che l’intervista appaia quasi come una conversazione, senza bruschi salti d’argomento, e tenga conto della dinamica del rapporto fra intervistatore e intervistato.L’intervista si basa su un rapporto asimmetrico: l’intervistatore conosce il questionario, i fini della ricerca e conduce il discorso ponendo le domande, mentre l’intervistato scopre le domande una per volta, teme di dare risposte “sbagliate”, non è detto sia a conoscenza delle finalità della ricerca e può darsi sia la prima volta che si trova a rispondere a un questionario. Ciò per dire che è importante che l’intervistato si senta a suo agio e non assuma un atteggiamento diffidente o “difensivo”.
La prima parte del questionario ha quindi solitamente l’obiettivo di distendere il clima dell’intervista attraverso una serie di domande non particolarmente invadenti. Per motivi analoghi, è meglio porre le domande più delicate a metà o alla fine del questionario, quando l’intervistato ha preso un minimo di confidenza con la dinamica dell’intervista.
La successione delle domande segue spesso la cosiddetta tecnica a imbutoche prevede di formulare prima domande generali, seguite poi da domande sempre più specifiche.
Non è secondario tenere conto anche della stanchezza e dell’interesse dell’intervistato. Il questionario non deve essere eccessivamente lungo, nel senso che il tempo della sua compilazione non dovrebbe superare i 45 minuti. Vi sono infatti ricerche che documentano come l’interesse e l’attenzione dell’intervistato tendano progressivamente ad affievolirsi, col rischio che le ultime risposte possano essere viziate dal desiderio di concludere l’intervista. Riportiamo in breve i suggerimenti per una corretta somministrazione di un questionario.

SUGGERIMENTI PRATICI PER LA SOMMINISTRAZIONE DI UN QUESTIONARIO
Il questionario è uno strumento standardizzato, basato sul principio per cui è fondamentale che tutti gli intervistati siano sottoposti allo stesso tipo di stimolo (ossia di domanda), se vogliamo delle risposte che siano poi comparabili. È quindi fondamentale che l’intervistatore:
  • illustri la ricerca in forma breve e sempre uguale, senza lunghe spiegazioni;
  • non si distacchi mai dalla sequenza di domande previste;
  • non lasci che altre persone, diverse dall’intervistato, intervengano nell’intervista o, peggio, rispondano al suo posto;
  • non lasci trasparire le proprie opinioni o idee, mostrando accordo o disaccordo con quanto detto dall’intervistato;
  • non cambi l’ordine delle domande e non improvvisi;
  • spieghi il significato di una domanda nel caso in cui non risulti chiara all’intervistato, stando però attento a non dare proprie interpretazioni.

  VERSO LA PROFESSIONE   

Esperto in ricerche di mercato

Nel campo del marketing si fa largo uso di ricerche orientate ad analizzare le motivazioni e i comportamenti dei consumatori. I risultati di tali studi rivestono notevole interesse per quelle aziende che devono prendere decisioni circa quali prodotti o servizi proporre, come pubblicizzarli e come distribuirli.
Rispetto a una ricerca sociologica, una ricerca di mercato ha un ambito di analisi più ristretto, essendo esplicitamente orientata all’individuazione solo di alcune informazioni relative al comportamento dei consumatori e alla rilevazione di specifici aspetti del mercato di riferimento. Peraltro, la diffusione dei social network e dei big data fornisce oggi incredibili masse di dati a proposito del comportamento degli utenti, rendendo possibili, specie in Internet, anche forme di personalizzazione della messaggistica pubblicitaria.
Soprattutto i sociologi esperti di analisi quantitativa, abituati a maneggiare ingenti quantità di dati grazie a raffinate tecniche di analisi statistica, trovano in questo settore rilevanti opportunità di occupazione.

Cerca informazioni più dettagliate su che cosa sia e come sia possibile condurre una ricerca di mercato. Consulta inoltre su Wikipedia la pagina dedicata alla “analisi del sentiment”.
 >> pagina 258 

3.5 L’INTERVISTA

L’intervista rappresenta una delle tecniche di ricerca più diffuse in sociologia, al punto che si stima che addirittura il 90% delle ricerche sociali si avvalga di informazioni raccolte mediante interviste.
L’intervista è uno scambio verbale tra due o più persone, nel quale un intervistatore cerca, ponendo domande più o meno rigidamente prefissate, di raccogliere informazioni su comportamenti, opinioni e atteggiamenti di uno o più soggetti (gli intervistati) su un particolare argomento.
Esistono svariate tipologie di intervista, che solitamente si distinguono per il loro grado di “strutturazione” – si parla infatti di intervista strutturatasemi-strutturata e non strutturata – e che possono a loro volta differenziarsi sulla base delle modalità secondo le quali vengono effettuate: faccia a faccia, telefonica, di gruppo.
Il livello di strutturazione di un’intervista corrisponde ai gradi di libertà che l’intervista concede a intervistatore e intervistato, ossia a quanto intervistatore e intervistato debbano conformarsi a una preesistente traccia di domande/risposte o quanto possano invece interagire spontaneamente.

 >> pagina 259 
L’intervista strutturata
L’intervista strutturata è quella che tipicamente accompagna la somministrazione di un questionario. In tal caso, l’interazione tra intervistatore e intervistato è interamente mediata da un set prestabilito di domande chiuse e possibili risposte, da cui non è possibile discostarsi. L’intervistatore non può alterare l’ordine delle domande, né privilegiarne alcune a discapito di altre, così come l’intervistato non può spiegare il perché delle sue risposte o dilungarsi sugli argomenti che preferisce.
Possono però anche esserci interviste strutturate basate su domande apertedove quindi l’ordine delle domande è fisso, ma all’interno delle quali l’intervistato è libero di rispondere con le sue parole, senza dover scegliere tra diverse risposte già formulate.
Questa tipologia di intervista viene solitamente impiegata quando non si conosce a sufficienza il fenomeno oggetto della ricerca, per cui non sarebbe possibile elaborare un questionario a domande chiuse, oppure quando ci si rende conto che si ha di fronte una tale pluralità di situazioni, o un tale intreccio di diverse dimensioni, che le risposte risultano difficilmente prevedibili e riassumibili in poche parole. Per esempio, se siamo interessati a comprendere che cosa facciano i giovani nel tempo libero, probabilmente sarà più utile formulare una serie di domande aperte, come: “Che cosa fai solitamente quando non vai a scuola?”; “Che cosa fai quando ti incontri con gli amici?”; “Come trascorri il tuo tempo libero?”.
L’intervista semi-strutturata
L’intervista semi-strutturata si basa su una traccia d’intervista contenente una serie di temi fissati in precedenza che costituiscono ciò che principalmente al ricercatore interessa indagare.
Talvolta la traccia include anche alcune domande che, per via della loro rilevanza ai fini della ricerca, l’intervistatore decide di voler porre nello stesso modo a tutti gli intervistati.
L’intervistatore ha una notevole autonomia nel condurre l’intervista:
  • può formulare le domande nel modo che ritiene più adatto;
  • può variare l’ordine delle domande a seconda di come si sviluppa l’intervista;
  • può lasciare all’intervistato la libertà di approfondire i temi che preferisce o di “andare fuori traccia” e sviluppare anche temi ulteriori rispetto a quelli previsti.
È fondamentale in questo genere di intervista che, a differenza dell’intervista strutturata, l’intervistatore abbia la capacità di instaurare una conversazione con l’intervistato, chiedendo per esempio chiarimenti circa quanto detto, oppure invitandolo a fare esempi concreti, tratti dalla sua esperienza, oppure, ancora, esprimendo interesse per quanto da lui raccontato e incoraggiandolo a continuare il discorso.
È anche importante che l’intervistatore si sforzi di avvicinarsi al linguaggio dell’intervistato. Ciò può essere fatto sia avendo un minimo di conoscenza del background culturale o professionale degli intervistati (se si intervistano dei medici, sarà utile avere conoscenza del vocabolario medico, così come se si intervistano dei giocatori d’azzardo sarà utile sapere qualcosa del gioco d’azzardo), sia cercando, nel corso dell’intervista stessa, di adeguare il proprio linguaggio a quello dell’intervistato. Ovviamente, questa vicinanza tra linguaggio dell’intervistatore e dell’intervistato non sempre è
possibile né plausibile, dato che l’intervistatore è quasi sempre uno studioso e non un amico o collega dell’intervistato.
ESEMPIO: immaginiamo di voler studiare il lavoro che svolge un impiegato in una ipotetica organizzazione. Attraverso le domande potremo svolgere una sorta di “visita guidata” all’interno di una sua tipica giornata di lavoro, che il ricercatore, con una certa abilità, potrà portare a livelli di dettaglio sempre più raffinati. Se, per esempio, l’intervistato indica come fattore tipico di una sua giornata lavorativa il rispondere al telefono, la successiva domanda potrà essere: “Che cosa succede solitamente durante una telefonata?”. Se, invece, l’intervistato usa espressioni come “E poi ieri il capo mi ha reso la giornata impossibile”, potremo chiedere un esempio di ciò che intende per “giornata impossibile” e che cosa concretamente sia accaduto.
Sarà sempre utile porre domande che riportino l’interlocutore alla sua esperienza personale, per esempio: “Quali sono le cose che più influiscono sull’andamento della sua giornata lavorativa?”.
Tuttavia, il rischio che l’intera conversazione risulti viziata proprio dal tipo di rapporto che potrebbe crearsi tra intervistato e intervistatore (troppo complice o eccessivamente distaccato) richiede a chi conduce un’intervista semi-strutturata il possesso di competenze in termini di comunicazione e gestione dei rapporti interpersonali, nonché la conoscenza diretta dell’argomento che si deve discutere.

 >> pagina 260 
L’intervista non strutturata
Le competenze, le conoscenze e l’esperienza diventano essenziali per il sociologo se l’intervista non è strutturata. Nell’intervista non strutturata (talvolta indicata anche come “intervista in profondità” o “intervista discorsiva”), il ricercatore introduce alcuni temi di discussionelasciando agli intervistati la massima libertà nello svilupparli. Si può quindi intuire come le interviste non strutturate possano avere una durata molto variabile, toccare uno o più argomenti, essere ricche di particolari soggettivi o prive di dettagli caratterizzanti.
I sociologi Howard Schwartz (n. 1945) e Jerry Jacobs (n. 1955), autori di uno dei primi manuali di metodologia qualitativa, così si esprimono a proposito dell’intervista non strutturata: «Il successo di una impresa come questa si basa in ultima analisi sulle capacità e sulla sensibilità dell’intervistatore, che deve formulare le domande “giuste”, al momento “giusto”, trattenersi dal fare domande quando non è il caso e in generale comportarsi come un ascoltatore non minaccioso, comprensivo ed empatico».
Un ultimo consiglio riguardo alle domande da porre durante un’intervista non strutturata ci viene da Howard Becker, il quale raccomanda di chiedere il “come”, non il “perché”. Domandare “perché?” porta infatti le persone a rispondere in termini di cause e ad assumere una posizione difensiva; domandare “come?” induce invece a riflettere sugli eventi e invita a fornire maggiori dettagli. Becker osservò infatti come la domanda “Perché fumi marijuana?” portasse a risposte decisamente diverse e meno ricche di particolari di quelle ottenute chiedendo “Come hai iniziato a fumare marijuana?”.
 >> pagina 261 
La registrazione dell’intervista
Semi-strutturata o non strutturata che sia, è consigliabile cercare di registrare l’audio se non anche il video dell’intervista, per due motivi:
  • sapendo che la conversazione verrà registrata, il ricercatore ha modo di concentrarsi sull’interazione con l’intervistato, senza, per esempio, dover abbassare gli occhi di continuo per prendere appunti;
  • è importante poter risalire alle esatte parole usate, nonché verificare se siano state pronunciate di getto o intervallate da momenti di esitazione.
Per il ricercatore è quindi centrale conservare traccia dell’intervista. Registrare l’audio sarebbe la cosa più semplice, ma non è detto che i soggetti siano d’accordo: bisogna essere preparati al fatto che alcune persone, per i più svariati motivi, non acconsentano a essere registrate. Di conseguenza, è importante rispettare questa scelta senza cercare di forzare la loro volontà: bisognerà armarsi di concentrazione e velocità di scrittura, prendere degli appunti accurati e, non appena terminata l’intervista, ricostruirla per iscritto in forma dettagliata.
In ogni caso, sarà importante che l’intervistatore rassicuri i soggetti intervistati a proposito del loro anonimato, del fatto che l’intervista verrà ascoltata solo dal ricercatore medesimo, che rimarrà in suo possesso e che non verrà fatta ascoltare a nessun altro senza l’autorizzazione del diretto interessato.
Una volta registrata l’intervista, si presenterà il problema della sua trascrizioneTrascrivere l’intervista è, infatti, un’attività lunga, noiosa e spesso snervante, ma andrebbe fatta al più presto. Non è detto che l’audio sia di buona qualità, né che discorsi che sembravano del tutto logici appaiano altrettanto facilmente ricostruibili a distanza di tempo e senza avere la possibilità di chiedere ulteriori spiegazioni.
Riassumiamo nella tabella che segue i suggerimenti pratici per condurre un’intervista semi-strutturata o non strutturata.

SUGGERIMENTI PRATICI PER CONDURRE UN’INTERVISTA SEMI-STRUTTURATA O NON STRUTTURATA
  • Munirsi di un dispositivo di registrazione audio e di un quaderno degli appunti.
  • Presentarsi all’intervistato e spiegare il perché della ricerca e dell’intervista, sottolineando come i dati raccolti siano anonimi e tutelati dalla legge sulla privacy.
  • Proporre garbatamente di registrare la conversazione. Nel caso in cui l’intervistato non acconsenta, prendere appunti dettagliati.
  • Iniziare con domande a largo raggio, così da familiarizzare gradualmente con il contesto, il linguaggio e la vita quotidiana del soggetto intervistato. Prestare attenzione alle espressioni gergali e metaforiche usate dell’intervistato e sfruttarle quali occasioni per porre ulteriori domande e concentrare la conversazione su temi via via sempre più specifici.
  • Chiedere spiegazioni senza paura di mostrarsi “ignoranti” laddove non si capisca qualcosa.
  • Cercare di stabilire un rapporto empatico con il soggetto nel corso dell’intervista.
    La postura del corpo è il contatto visivo sono elementi determinanti nel mettere a proprio agio una persona mentre parla (specie se con uno sconosciuto, quale è l’intervistatore). Pause e silenzi vanno assecondati, prestando attenzione però nel mantenere la conversazione fluida e la partecipazione dell’intervistato attiva.
  • Trascrivere al più presto l’intervista. Nel caso in cui l’interlocutore non abbia acconsentito alla registrazione, non appena terminata l’intervista, ricostruirla per iscritto nei dettagli.

 >> pagina 262 

3.6 IL FOCUS GROUP

Nel 1941, Robert King Merton | ▶ UNITÀ 4, p. 130 | fu invitato dal collega Paul Felix Lazarsfeld | ▶ L’AUTORE | ad assisterlo in una ricerca finalizzata a verificare l’efficacia di alcuni programmi radio sponsorizzati dal governo. La sessione prevedeva che venti persone venissero riunite nello studio di una stazione radio per ascoltare un programma registrato e che esprimessero il proprio parere attraverso due pulsanti posizionati sulle sedie: uno verde, per le sensazioni positive evocate dal programma, e uno rosso per quelle negative. Al termine di questa fase gli ascoltatori vennero intervistati da Merton sui motivi delle loro scelte.
Nacque così, in quell’occasione, la tecnica del focus group: un’intervista collettiva a un gruppo di persone (solitamente, da un minimo di cinque a un massimo di dodici) riunite in uno spazio comune e stimolate a discutere e confrontarsi circa una serie di argomenti proposti dal ricercatore.
Ciò che caratterizza questa tecnica è quindi:
  • il gruppo e l’interazione tra i soggetti come principali fonti d’informazione;
  • la focalizzazione della discussione su uno specifico argomento;
  • la presenza di un intervistatore con un ruolo attivo. A questo proposito, è bene specificare come la riuscita di un focus group dipenda in buona parte proprio dall’abilità del ricercatore di favorire la discussione fra tutti i partecipanti, mantenendo una posizione di neutralità ed evitando di esprimere le proprie opinioni e valutazioni. Non a caso, in riferimento ai focus group, il ruolo del ricercatore viene spesso descritto come quello di un “moderatore” o “facilitatore”.
Il gruppo dei partecipanti a un focus group ha caratteristiche particolari sia per la composizione sia per le finalità che si propone: è infatti un gruppo costruito ad hoc dai ricercatori con lo scopo di studiare un determinato fenomeno.
Indipendentemente dalla numerosità, solitamente si cerca di creare gruppi di persone che abbiano in qualche modo familiarità con l’argomento in discussione, nonché qualcosa in comune, come la professione, l’età o un certo tipo di orientamento politico. Questo “qualcosa” dipende molto dall’obiettivo della ricerca. Per esempio, se siamo interessati a rilevare le opinioni dei “giovani”, dovremo rivolgerci a persone appartenenti a una determinata fascia d’età. Peraltro, è anche importante prestare attenzione a non creare gruppi eccessivamente disomogenei dal punto di vista del livello culturale e/o dello status sociale.

 >> pagina 263 

l’autore  Paul Felix Lazarsfeld

Paul Felix Lazarsfeld (1901-1976), nato a Vienna e poi emigrato negli Stati Uniti negli anni Trenta, è uno dei principali sociologi neopositivisti del Novecento. Secondo Lazarsfeld, qualunque oggetto di studio sociologico (compresi gli individui) va definito sulla base di attributi e proprietà ed espresso in termini di variabili. Tutti i fenomeni sociali possono così essere rilevati, misurati, correlati, confrontati e le teorie convalidate o falsificate.
Nel corso della sua carriera si dedica alla creazione di istituti di ricerca dedicati alla ricerca empirica, all’elaborazione e al perfezionamento di tecniche di raccolta e analisi dei dati, e allo studio delle conseguenze socio-psicologiche della disoccupazione di lunga durata, dei mass media e della comunicazione in pubblico. In particolare, Lazarsfeld si concentra sui cosiddetti opinion leader, cioè quegli individui che, per prestigio o notorietà, hanno la capacità di influenzare il pensiero e il comportamento degli altri. Questo gli permette di elaborare la teoria del flusso di comunicazione a due fasi: nella prima fase, gli opinion leader usano i mezzi di comunicazione di massa per ottenere informazioni; nella seconda, essi filtrano queste informazioni attraverso le loro opinioni e le comunicano alla popolazione.

Lo svolgimento del focus group
Il ricercatore sollecita la discussione tra i partecipanti, cercando di far emergere le diverse interpretazioni, reazioni e atteggiamenti. È quindi importante che i partecipanti non si conoscano. Da questo punto di vista, un focus group è tanto più riuscito quanto più ampia è l’interazione tra i partecipanti. Si deve infatti tenere presente che ciò che interessa non sono le singole opinioni espresse, ma il processo attraverso il quale, a partire da alcune posizioni individuali, il gruppo discute e dà forma a delle opinioni collettive. La fonte dei dati è costituita dalla discussione che si anima all’interno del gruppo, non da ciò che dicono i singoli individui che lo compongono.
Essendo l’attenzione direzionata verso l’interazione tra i partecipanti, è necessario dare alle persone il tempo necessario per confrontarsi e discutere, per cui solitamente i focus group hanno una durata che va da un minimo di un’ora a un massimo di tre.
Sempre per via di questa attenzione nei confronti delle dinamiche che si sviluppano all’interno del gruppo, è comune che nei focus group, oltre al ricercatore-moderatore, sia presente anche un altro ricercatore, nel ruolo di osservatoreEgli ha il compito di annotare le dinamiche e le informazioni principali che emergono dall’interazione tra i componenti del gruppo, senza interagire con il gruppo e con il moderatore. Il suo compito è quello di prendere appunti circa le azioni verbali e non verbali dei partecipanti, così da tenere traccia di dettagli che potrebbe essere altrimenti difficile recuperare in un secondo momento.
Forse ancora più che in altre situazioni di ricerca, è fondamentale la motivazione dei soggetti a partecipare. La partecipazione dei soggetti deve essere volontaria e pari attenzione va data al luogo di svolgimento dell’incontroche deve essere adeguato rispetto alla numerosità del gruppo e tale da offrire la possibilità a tutti i partecipanti di potersi guardare e sentire a vicenda.
Il testo guida del moderatore è formato da alcune domande chiave, non più di una decina, che il moderatore utilizza con ampia flessibilità. La tecnica utilizzata è solitamente quella delle domande “a imbuto”: si parte da questioni generali per arrivare a domande sempre più strutturate.
Solitamente, si distinguono cinque tipologie di domande:
  • domande di apertura, che permettono ai partecipanti di iniziare a esprimersi e di riconoscersi come gruppo;
  • domande di introduzione, che introducono l’oggetto della discussione;
  • domande di transizione, che portano verso il principale argomento che si vuole sviscerare;
  • domande chiave, che rappresentano il cuore del tema trattato;
  • domande finali, che portano alla chiusura dell’incontro e che cercano di “tirare le somme” della discussione.
Salutati i partecipanti, il moderatore e l’osservatore si confrontano subito circa le impressioni raccolte. È anche questa una fase importante perché consente di riflettere sugli aspetti positivi e negativi del focus group appena realizzato, così da non ripetere gli stessi errori nei focus group futuri.
Qui di seguito riportiamo i suggerimenti pratici per dare inizio a un focus group.

SUGGERIMENTI PRATICI PER DARE AVVIO A UN FOCUS GROUP
Il momento di inizio di un focus group è particolarmente importante, in quanto costituisce il momento in cui il ricercatore illustra il motivo dell’incontro e i contorni della discussione. È quindi fondamentale prestare attenzione a ciò che si dice, in quanto questo avrà delle ripercussioni sull’andamento dell’intero focus group. Ogni focus group necessita di un intervento di apertura pensato ad hoc per i partecipanti e la specifica situazione, ma un classico modo di aprire un focus group può essere per esempio il seguente:
«Buona sera, benvenuti al nostro incontro. Grazie per essere venuti. Il mio nome è … e rappresento … . Desideriamo sapere la vostra opinione sui viaggi in aereo.
Vi abbiamo scelto perché svolgete una professione che vi porta spesso a utilizzare l’aereo, perciò potete darci informazioni preziose. Non esistono risposte giuste o sbagliate, vogliamo solo conoscere il vostro punto di vista e le vostre esperienze.
Prima di cominciare, vorrei darvi alcuni suggerimenti per rendere la conversazione la più proficua possibile. Cercate di parlare uno alla volta. Registreremo, se lo concedete, la conversazione per non dimenticare nulla di quello che si dirà oggi. Verrà garantito l’anonimato. Il mio ruolo è quello di porvi le domande e ascoltare le vostre risposte».

V.L. Zammuner, Tecniche dell’intervista e del questionario, il Mulino, Bologna 2000, p. 211

 >> pagina 265 

3.7 L’OSSERVAZIONE ETNOGRAFICA O PARTECIPANTE

In sociologia, l’osservazione può avere carattere etnografico o sperimentale.
L’osservazione etnografica (detta anche “osservazione partecipante”) ha una lunga storia in sociologia, in quanto rappresenta ancora oggi la tecnica di ricerca principale per chi raccoglie dati qualitativi e condivide un paradigma fenomenologico.
L’osservazione sperimentale, che ha sempre avuto scarso successo in ambito sociologico, ha come principio di base quello di riprodurre in un ambiente artificiale quanto solitamente accade in natura, così da poter verificare un’ipotesi o rintracciare alcuni meccanismi di causa-effetto. Tuttavia, per gli scienziati sociali non è così facile: le situazioni sociali includono una quantità tale di fattori da risultare irriproducibili. Inoltre, dal punto di vista di un sociologo, l’idea di studiare le interazioni sociali in laboratorio risulta un po’ strana: il “laboratorio” della sociologia è la società stessa. Perché simulare l’interazione sociale quando è possibile studiarla “dal vivo”, in concrete situazioni di vita quotidiana? Certo, studiarla in laboratorio permetterebbe di replicare e “testare” la stessa situazione più volte e magari di dimostrare una serie di regolarità. Ma in termini sociologici tali regolarità dimostrerebbero più che altro come si comportano le persone se esposte a determinati stimoli in un contesto di laboratorio, quindi in un contesto per definizione diverso da quello della loro vita quotidiana.
Del tutto diverso è il caso dell’osservazione etnografica. Questa trova le sue origini, all’inizio del Novecento, nell’antropologia e nell’osservazione di popolazioni e culture lontane e diverse da quelle occidentali. Caratteristica peculiare dell’etnografia è l’osservazione delle persone nel loro “ambiente naturale” e la condivisione da parte del ricercatore di questo stesso ambiente e delle pratiche sociali che lo caratterizzano. La cultura, in particolare, rappresenta l’ambito di analisi privilegiato, come del resto enfatizzato dallo stesso termine “etnografia”.
Questa tecnica di osservazione, conosciuta come “osservazione partecipante”, è però divenuta qualcosa di più della modalità di indagine tipica dell’antropologia, conquistando una posizione di crescente rilievo all’interno delle tecniche di ricerca delle scienze sociali a partire dalla Scuola di Chicago fino all’interazionismo simbolico. Non a caso, l’osservazione etnografica è stata adottata in relazione a questioni diversissime: dallo studio delle subculture giovanili e delle culture professionali, ai processi di consumo e di partecipazione politica, sino alle dinamiche migratorie o di innovazione tecnologica.
Indipendentemente dal contesto e dalle modalità di applicazione, a rimanere invariato è però il tipo di “sguardo” che anima l’osservazione partecipante. Questo si può riassumere nella capacità di svelare come ciò che in un determinato contesto o situazione viene considerato “normale” o “banale” sia sorretto da un’intricata trama di routine, rituali, credenze e pratiche socialmente costruite, condivise e riprodotte.

per immagini

Il metodo dell’osservazione partecipante

Si è soliti far risalire all’antropologo polacco poi naturalizzato britannico Bronislaw Malinowski (1884-1942) la prima definizione di etnografia, il cui obiettivo consiste «[nell’] afferrare il punto di vista dell’indigeno, il suo rapporto con la vita, [per] rendersi conto della sua visione del suo mondo». Malinowski trascorse tre anni presso una tribù di un’isola della Malesia, osservandone la vita sociale, mangiando il cibo locale, partecipando a riti e cerimonie. Questo tipo di osservazione, in cui il ricercatore si mescola ai soggetti osservati e ne adotta le abitudini di vita, è stato codificato dalla ricerca antropologica, ma anche in sociologia troviamo studiosi che hanno scelto un simile metodo di indagine. È il caso, per esempio, del già citato Howard Becker e del suo studio sui jazzisti e, più in generale, di tutti quei sociologi che si rifanno all’approccio dell’interazionismo simbolico.

 >> pagina 267 
Come si fa osservazione etnografica
Un’attività di osservazione etnografica implica una prolungata presenza sul campo da parte del ricercatoresolitamente almeno un anno. Potrà sembrare un tempo enorme, ma si tenga conto del fatto che questo è in realtà il tempo minimo richiesto da qualunque processo di ricerca.
Nel corso della ricerca, il sociologo cerca il più possibile di immergersi nella realtà studiata, osservando e condividendo per quanto possibile la quotidianità della vita sociale. Il ricercatore si focalizzerà in particolare su alcuni elementi:
  • l’ambiente in cui hanno luogo le azioni/interazioni. Descrivere l’ambiente in cui si sviluppano le azioni/interazioni studiate vuol dire prestare attenzione tanto all’architettura degli spazi, quanto al tipo di “clima” e alle sensazioni che tali spazi comunicano. Solitamente il modo in cui gli spazi sono dislocati, arredati e curati riflette una serie di dinamiche sociali e manda dei segnali all’esterno. Non a caso, il modo in cui un ristorante si presenta si riflette spesso sul tipo di clientela, anche solo per via del fatto che gli arredi e l’atmosfera che si respira forniscono già delle indicazioni circa il tipo di spesa a cui si andrà incontro;
  • la struttura delle azioni/interazioni. Così come si sono descritte le strutture fisiche, si descrive la struttura sociale dell’ambiente osservato. Qualunque contesto, dalle gang di quartiere, alle squadre sportive, sino ai movimenti sociali e alle grandi aziende, prevede infatti un sistema di ruoli e gerarchie;
  • le pratiche e i rituali delle azioni/interazioni, con cui entriamo nel vivo delle relazioni. Si tratta infatti di descrivere i modi e le forme in cui i partecipanti al contesto interagiscono quotidianamente gli uni con gli altri, il cosiddetto “comportamento ordinario”, ciò che agli occhi dei soggetti coinvolti appare semplicemente come il modo “normale” di fare le cose;
  • il linguaggio e il gergo in uso. Nell’osservare le persone interagire, il ricercatore verrà a contatto con tutte le espressioni verbali e le pratiche comunicative tipiche del contesto osservato. Al pari delle azioni per così dire “fisiche”, o non verbali, le azioni verbali contribuiscono a esprimere e riprodurre le logiche sottese ai processi di azione/interazione e sono quindi di estremo interesse per il ricercatore. Ogni comunità o gruppo di persone costruisce infatti la sua specifica identità anche attraverso il linguaggio. Gli appassionati di videogiochi e di giochi di ruolo utilizzano solitamente un linguaggio che suona incomprensibile a chi non ha dimestichezza con questo mondo; così come il linguaggio dei medici risulta spesso criptico per i pazienti, e quello degli adolescenti rimane talvolta misterioso per gli adulti.
Di tutte queste osservazioni e discorsi, il ricercatore conserverà traccia attraverso quelli che in sociologia si definiscono appunti o note di campo. Per quanto infatti nella sociologia contemporanea si faccia sempre più uso anche di forme di registrazione audio-video, gli appunti di campo rimangono in qualche modo un altro degli aspetti che caratterizzano il metodo etnografico. Gli appunti di campo obbligano gli etnografi a mettere continuamente alla prova la puntualità delle loro osservazioni, in quanto è possibile descrivere in dettaglio solo ciò che si è accuratamente osservato. Infine, le note di campo permettono di tenere traccia dei propri dubbi e delle proprie intuizionisono cioè quanto di più personale e soggettivo i ricercatori producano nel corso della ricerca.
L’osservazione etnografica trova così la sua peculiarità proprio e anche nella soggettività del ricercatore, che, lungi dall’essere invisibile, è invece presente tanto nel contesto di osservazione, interagendo con i soggetti osservati, quanto nelle descrizioni etnografiche e nel testo finale della ricerca. Solo offrendo dettagli su come ha lavorato e su come ha costruito i propri dati, nonché sui dubbi e le incertezze che ha incontrato, il ricercatore ha modo di lasciare ai lettori l’ultima parola sulla bontà o meno del lavoro condotto e quindi di valutare sino a che punto siano attendibili e plausibili i risultati dell’osservazione.
Riportiamo di seguito i suggerimenti pratici per condurre un’osservazione etnografica.

SUGGERIMENTI PRATICI PER CONDURRE UN’OSSERVAZIONE ETNOGRAFICA
  • Munirsi di un quaderno degli appunti ed eventualmente di un dispositivo per la registrazione audio e video.
  • Scrivere tutto, specie nelle fasi iniziali, anche ciò che appare ovvio e scontato.
    Se possibile, prendere appunti durante l’osservazione; in caso contrario scrivere i propri appunti appena terminata l’osservazione. Ma non fare troppo affidamento sulla memoria: dettagli e particolari tendono a essere dimenticati nell’arco delle prime quarantotto ore.
  • Chiedersi, ogni volta che si descrive un episodio, una scena, un evento, se la descrizione è sufficientemente comprensibile per chi non vi abbia assistito. Ciò significa adottare un linguaggio concreto, identificare i diversi partecipanti alla situazione che si descrive, prestare attenzione alla successione temporale degli eventi e ai passaggi che collegano una situazione all’altra: una descrizione frettolosa risulta spesso incomprensibile.
  • Ascoltare, costruire un dialogo e cercare di farsi ispirare dalle persone che si incontrano sul campo. Laddove non si capisca qualcosa, chiedere spiegazioni, anche a rischio di risultare incompetenti.
  • Prestare attenzione ai diversi elementi che costruiscono la scena. Per esempio: come si presenta la struttura fisica del contesto di osservazione? Quali sono le regole e i ruoli condivisi dalle persone che partecipano al contesto? Quali sono le pratiche di azione/interazione che caratterizzano il contesto di osservazione? Quali sono il linguaggio e il gergo in uso? Attraverso quali tempi e luoghi si snoda la vita quotidiana?

  INVITO ALLA VISIONE   
Michael Moore, BOWLING FOR COLUMBINE, 2002

Bowling for Columbine è un film documentario del 2002 diretto da Michael Moore. Premio Oscar come miglior documentario nel 2003, il film si ispira alle stragi avvenute nelle scuole americane, in particolare a quanto avvenuto nel 1999 alla Columbine High School di Littleton (negli Stati Uniti), quando due ragazzi entrarono nella loro scuola armati di fucile e uccisero dodici studenti e un insegnante, per poi suicidarsi. Come in un’inchiesta sociologica, Moore raccoglie vari tipi di dati (statistiche, interviste, documenti storici) al fine di mostrare come l’atto estremo compiuto dai due ragazzi fosse il risultato non solo dell’estrema facilità con cui è possibile procurarsi un’arma negli Stati Uniti, ma anche dell’individualismo, delle forti disuguaglianze sociali, dell’uso che i media fanno talvolta della notizia e, dunque, dell’instaurarsi di un clima di crescente diffidenza reciproca fra le persone.

per lo studio

1. Quali sono le principali tecniche di raccolta dati di cui si serve la ricerca sociale? Quali di queste sono più direttamente collegate a una metodologia quantitativa e quali a una qualitativa?
2. Quali differenze ci sono tra un’intervista strutturata e una non strutturata?
3. Quali differenze ci sono tra osservazione sperimentale e osservazione etnografica?


  Per discutere INSIEME 

Le tecniche di raccolta dei dati empirici possono essere molto diverse tra loro: ognuna ha infatti una sua logica specifica e richiede al ricercatore abilità diverse.
Secondo voi, è possibile e/o auspicabile che nel corso di una ricerca diverse tecniche vengano mischiate? A quali fini? Con quali rischi? Discutetene in classe.

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane