2. Fare ricerca sociale: la domanda e il disegno della ricerca

2. Fare ricerca sociale: la domanda e il disegno della ricerca

2.1 LE FASI DELLA RICERCA SOCIALE

In termini generali, una ricerca inizia con l’individuazione di un tema o di un problema e prosegue precisandone i contorni e gli aspetti essenziali, per arrivare a definire adeguatamente perché e che cosa studiare, nonché come studiarlo (ovvero con quali strumenti) e che tipo di dati rilevare.
Le principali fasi che caratterizzano la ricerca sociale sono le seguenti:
  • la domanda di ricerca, cioè il problema o l’ipotesi che dà impulso alla ricerca e a cui la ricerca si propone di rispondere;
  • il disegno della ricerca, ossia la suddivisione della ricerca in diverse fasi operative (che cosa fare e quando);
  • la raccolta dei dati, tramite questionari, osservazioni, interviste, documenti sul fenomeno in oggetto;
  • l’analisi dei dati, ovvero codificare, confrontare, misurare e interpretare i dati raccolti;
  • la presentazione dei risultati, cioè sistematizzare i principali risultati provenienti dall’analisi, così da offrire una risposta alla domanda da cui era partita la ricerca e generare nuova conoscenza a proposito della realtà sociale e/o del fenomeno oggetto della ricerca.
È importante sottolineare che l’idea della ricerca come processo lineare che si sviluppa attraverso tappe ben definite, dall’iniziale definizione della domanda di ricerca sino alla sua risposta, costituisce un modello astratto e ideale: alcune fasi in parte si sovrappongono, altre possono svolgersi in parallelo, altre ancora generano dei ripensamenti o delle revisioni delle ipotesi iniziali. Ciò che caratterizza un processo di ricerca è la sua circolarità: se è evidente che ogni fase influenza quella successiva, è tuttavia possibile che i risultati di una fase inducano a tornare su alcune scelte precedentemente fatte. Nel corso di un’intervista, per esempio, ci si può rendere conto del fatto che la traccia che si sta seguendo non risulta del tutto adeguata: circostanza che suggerisce di rivedere e modificare la formulazione delle domande. Oppure, si può realizzare di non aver tenuto conto di alcuni criteri importanti nella selezione dei soggetti, cosa che può portare a includere nuovi individui. In sede di analisi dei dati, possono emergere dettagli o questioni non considerati al momento dell’impostazione della ricerca, e questo può spingere il ricercatore a decidere di raccogliere ulteriori dati rispetto a quelli previsti.

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2.2 LA DOMANDA DI RICERCA

Qualunque ricerca inizia con una domanda che precisa ciò che ci si propone di esplorare o descrivere. La domanda deve essere:
  • chiara, ossia precisa, concisa e univoca;
  • fattibile, ossia verificabile empiricamente;
  • pertinente, ossia adeguata rispetto alle conoscenze già acquisite a proposito dell’oggetto d’indagine.
La domanda di ricerca di fatto coincide con l’argomento della ricerca. Al fine di sviluppare domande interessanti e “al passo con i tempi”, è importante sviluppare una sensibilità storica, culturale e politica. Ciò significa innanzi tutto tenere in considerazione i fatti storici rilevanti, cogliere le rappresentazioni culturali del contesto che si vuole esaminare ed essere aggiornati rispetto al dibattito politico. In secondo luogo, è possibile lasciarsi ispirare da teorie, concetti o altre ricerche.
Il fatto che una teoria abbia trovato riscontro nella realtà in passato non significa che la stessa teoria non possa essere smentita (“falsificata”) oggi da altre teorie o avvenimenti. Il fatto che una ricerca abbia dato in passato determinati risultati non significa che oggi non possa darne altri. La realtà sociale è infatti in continuo movimento e spesso si caratterizza proprio per la sua imprevedibilità, per cui non è assolutamente detto che teorie e concetti rimangano validi nel tempo. Anzi, in sociologia non è raro che una ricerca venga replicata a distanza di tempo, proprio per verificare se e in che modo la realtà sociale è cambiata.
Formulare la domanda di ricerca: un esempio concreto
Ipotizziamo di voler studiare la relazione fra istruzione e lavoro. Formulare la domanda di ricerca “Qual è la relazione tra livello di istruzione e lavoro?” rischia di essere un po’ troppo generale, portandoci a risposte altrettanto generali. Inoltre, esiste una vastissima produzione di ricerche sociologiche sul tema e ignorarle sarebbe un grave errore.
Di fatto, la sociologia ha già messo in luce diversi aspetti della relazione istruzione-lavoro: più alto è il livello di istruzione, più è alta la probabilità di trovare lavoro; i lavori meglio remunerati spesso richiedono un alto tasso di istruzione e una lunga carriera di studi (basti pensare a medici, avvocati e ingegneri); alcuni stereotipi e disuguaglianze di genere penalizzano le donne; “spendere” il proprio livello di istruzione in un contesto caratterizzato da un mercato del lavoro dinamico, aperto e all’interno di una condizione economico-politica sufficientemente stabile risulta più “facile” rispetto al muoversi in una situazione di regressione economica.
Queste brevi considerazioni sono sufficienti a farci capire come sia necessario specificare in qualche modo la domanda di ricerca. Nel nostro esempio alcuni aspetti particolari da prendere in considerazione possono essere:
  • il territorio: l’Italia o alcune sue regioni/città, l’Europa o alcuni dei suoi Stati membri, uno o più paesi extra-europei;
  • il periodo temporale: l’ultimo anno, gli ultimi cinque anni, gli ultimi dieci, e così via;
  • il tipo di mercato del lavoro: rigido o flessibile;
  • la situazione economica: di crescita o di crisi;
  • il tipo di soggetti da considerare: uomini, donne o entrambi.
La nostra domanda iniziale circa la relazione tra tasso d’istruzione e occupazione può così trasformarsi in qualcosa di più puntuale, come per esempio: “In che modo, nel corso degli ultimi cinque anni, il livello di istruzione ha influito sull’occupazione femminile in Italia?”.
Ciò non toglie che si potrebbe cercare di essere ancora più precisi formulando un’ipotesi, per esempio verificando se negli ultimi cinque anni, in Italia, l’aumento del livello di istruzione delle donne abbia migliorato la loro condizione occupazionale. Si potrebbero poi introdurre ulteriori specifichetipo: “Il livello di istruzione ha influito negli ultimi cinque anni sull’occupazione delle donne tanto nel Nord, quanto nel Sud Italia?”.
Più si riesce a esprimere chiaramente e a circoscrivere la domanda di ricercapiù questa risulterà verificabile dal punto di vista empirico. Tuttavia, una domanda troppo circoscritta e precisa non porterà a risultati generalizzabili, in quanto il segmento di realtà preso a riferimento sarà per definizione molto limitato. Inoltre, non tutte le domande sono ugualmente interessanti, nel senso che è anche necessario mettere a punto un certo tipo di sguardo sociologico| ▶ UNITÀ 1, p. 16 |, utile a individuare gli aspetti più meritevoli di attenzione rispetto a una data realtà o fenomeno sociale.
La domanda di ricerca può avere anche carattere esplorativo, specie se si prendono in considerazione fenomeni o tendenze nuove. Negli anni Novanta, per esempio, agli albori di Internet e della comunicazione online, molte ricerche sociologiche nel campo dei media ruotavano attorno a una semplice domanda: “Come si trasforma la comunicazione nel momento in cui viene mediata dai computer e si svolge in uno spazio virtuale e senza tempo quale Internet?”.

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2.3 IL DISEGNO DELLA RICERCA

Il passo successivo alla formulazione della domanda di ricerca consiste nel definire le diverse fasi in cui si articolerà la ricerca. Ciò significa tradurre la domanda di ricerca in una serie di azioni concrete, utili a collezionare dati empirici a proposito del fenomeno che si vuole indagare.
Il disegno della ricerca dipenderà in buona parte dal tipo di metodologia (quantitativa o qualitativa) che si intende adottare, ma è importante innanzitutto che vi sia coerenza logica tra la domanda di ricerca e il metodo seguito: la ricerca va cioè considerata come un processo unitario, seppure distinto in diverse fasi.
ESEMPIO: se si vuole studiare il controllo del territorio da parte della criminalità organizzata, sarebbe insensato pensare di farlo tramite una serie di questionari. Allo stesso modo, sarebbe poco coerente decidere di somministrare mille questionari senza prevedere una successiva elaborazione e analisi dei dati di tipo quantitativo; così come, al contrario, non avrebbe senso effettuare dieci interviste per poi analizzarle in base a sofisticate elaborazioni statistiche.
Sia che scelga una metodologia di tipo quantitativo, sia che ne scelga una qualitativa, il ricercatore dovrà:
  • definire quali dati prendere in considerazione;
  • decidere secondo quali criteri selezionare i soggetti da includere nella ricerca;
  • decidere che tipo di strumenti utilizzare per raccogliere i dati;
  • pianificare il tempo da dedicare alle diverse attività;
  • stabilire le risorse necessarie in termini economici e di persone impiegate nella ricerca.
Una delle prime decisioni operative necessarie a condurre una ricerca riguarda ciò che la sociologia definisce come base empirica della ricerca, ossia il tipo di dati e informazioni su cui poggia la ricerca. Ciò vuol dire determinare il campo della ricerca, le fonti dalle quali si attingeranno i dati e/o le procedure utili a rilevarli.
Il problema della generalizzabilità dei risultati della ricerca
La definizione della base empirica pone il sociologo di fronte a delle scelte non indifferenti, che si ripercuoteranno sull’intera ricerca, in particolare per quanto riguarda la generalizzabilità dei risultati. Infatti, più la base empirica è circoscritta, meno i risultati saranno generalizzabili.
ESEMPIO: se decidessimo di studiare le tendenze della moda giovanile in Europa intervistando dieci persone di età compresa tra i 16 e i 28 anni e tutte residenti nella stessa città, evidentemente la generalizzabilità dei nostri risultati sarebbe alquanto limitata e, più che studiare le tendenze della moda giovanile in Europa, avremmo studiato il modo in cui dieci giovani residenti in una determinata città descrivono il loro rapporto con la moda. Certo, se questi fossero giovani stilisti, famosi blogger, giornalisti di tendenza, organizzatori e animatori di eventi di moda, modelle e modelli, e se la città presa a riferimento fosse uno dei luoghi in cui per antonomasia nascono e si sviluppano nuove tendenze (come nel caso di Londra, Parigi, Berlino o New York), la questione sarebbe lievemente diversa, in quanto potremmo sostenere che i nostri dieci intervistati non sono persone qualunque, bensì “testimoni privilegiati”.
Con questa espressione in sociologia si fa riferimento a quelle persone che, per via della loro posizione professionale o del ruolo che ricoprono in una data situazione, sono molto informate riguardo al fenomeno oggetto di studio; per cui le loro opinioni risultano particolarmente significative.
Nelle ricerche qualitative si fa largo uso di interviste a testimoni privilegiatiNella ricerca quantitativa, invece, è possibile che si ricorra ai testimoni privilegiati nella fase che precede la formulazione del questionario, così da delineare le principali dimensioni in cui si snoda il fenomeno oggetto di studio.
Ciò non toglie che basare una ricerca sulle tendenze della moda giovanile in Europa su dieci interviste raccolte nella stessa città, per quanto le persone intervistate possano essere informate e per quanto la città possa esprimere quelle che sono le nuove tendenze della moda, risulta alquanto azzardato.
D’altro canto, ipotizzare di raggiungere tutti i soggetti toccati dal fenomeno che si vuole indagare non è realistico in termini di quantità di tempo e di lavoro necessario. È per questo che è necessario definire alcuni criteri con cui selezionare le persone da includere nella ricerca.

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2.4 IL CAMPIONAMENTO E LA SCELTA DEI CASI DI STUDIO

A eccezione dei casi in cui la ricerca prende a riferimento solo dati già esistenti, la definizione della base empirica richiederà al sociologo di identificare non solo i dati che è necessario raccogliere, ma anche le tecniche di campionamento attraverso le quali selezionare i soggetti da includere nella ricerca.
Ci sono casi in cui è molto facile estrarre un ▶ campione: quando stiamo cucinando, ci è sufficiente assaggiare un unico maccherone per decidere se la pasta è cotta. Ciò è possibile in quanto possiamo essere certi del fatto che il nostro universo di riferimento (la pasta) è del tutto omogeneo al suo interno: ogni maccherone è perfettamente uguale all’altro. Le persone, tuttavia, generalmente sono diverse tra loro: una “popolazione” è solitamente alquanto eterogenea al suo interno.
Il campionamento nella ricerca quantitativa
Per ogni ricerca le tecniche di campionamento potranno essere diverse a seconda degli ambiti metodologici. Nelle ricerche quantitative il campionamento è essenziale e dev’essere di tipo probabilistico.
Nel campionamento probabilistico | ▶ APPROFONDIAMO | la probabilità che ha ciascun soggetto di essere incluso nel campione è nota e diversa da zero. Se la probabilità non fosse conosciuta, non ci sarebbe modo di stabilire se il campione è rappresentativo dell’intera popolazione. Un campione probabilistico deve rispecchiare le caratteristiche dell’universo che si intende indagare: per esempio, se la popolazione italiana è formata dal 47% di uomini e dal 53% di donne, anche nel nostro campione la percentuale di uomini e donne dovrà rispecchiare all’incirca tale proporzione (se il campione includesse solo uomini, o solo donne, evidentemente non potrebbe essere considerato rappresentativo).
Va ricordato che un campione probabilistico è sempre frutto di un’approssimazione e contiene comunque un margine di errore, che tuttavia è possibile stimare e di cui si può quindi tenere conto. Una selezione “perfetta” del campione è quasi impossibile: non tutte le persone selezionate saranno disposte a rispondere e non tutte risponderanno con lo stesso grado di sincerità.
Ci sono inoltre categorie della popolazione particolarmente difficili da raggiungere, quali gli adolescenti e/o gli anziani non autosufficienti, che tuttavia nelle società occidentali sono sempre più diffusi. Infine, ci sono popolazioni particolarmente difficili da campionare: i migranti irregolari, chi fa uso di sostanze stupefacenti, i senza fissa dimora, chi lavora “in nero” (cioè senza un regolare contratto di lavoro), ovvero tutte quelle categorie di persone che in qualche modo sfuggono alla “normalità” e si muovono al di fuori delle regole istituzionali.
In tutti quei casi in cui sin dall’inizio si sa che non sarà possibile accedere a una lista completa della popolazione che si vuole indagare, si potrà ricorrere ai cosiddetti campioni non probabilistici. Un campione non probabilistico è tale perché la probabilità che ha ciascun soggetto di essere estratto non è nota e potrebbe anche essere uguale a zero. Per esempio, se ci mettiamo a intervistare le persone che incontriamo per caso in strada, assegniamo a chi si trova a passare in quel momento un’alta probabilità di essere intervistato rispetto a chi si trova in altre parti della città, la cui probabilità di essere intervistato è pari a zero. La sociologia parla in questo caso di campionamento accidentale, ma solitamente i sociologi tendono a evitarlo, in quanto espone l’intera ricerca a livelli di casualità troppo elevati.
Tecniche di campionamento non probabilistico più diffuse e affidabili sono:
  • il campionamento a scelta ragionata, quando il ricercatore sceglie in modo non casuale le persone che, per via di alcune loro caratteristiche, meglio rispondono alla finalità dell’indagine. Per esempio, in una ricerca sulla violenza sulle donne, si potrebbe decidere di voler includere soltanto donne vittime di violenza che abbiano denunciato l’atto;
  • il campionamento a valanga, quando il ricercatore, dopo aver individuato alcuni testimoni privilegiati e averli intervistati, chiede loro di aiutarlo a entrare in contatto con altre persone di loro conoscenza che siano altrettanto bene informate;
  • il campionamento per quote, quando il ricercatore seleziona le persone da intervistare in modo non del tutto casuale, ma prestando attenzione al fatto che nel suo complesso il campione rispetti le stesse proporzioni della popolazione che vuole indagare. Se nella popolazione di riferimento il numero di uomini e donne all’incirca si equivale, così dovrà essere anche nel campione.

approfondiamo  IL CAMPIONAMENTO CASUALE SEMPLICE

Esistono diverse tipologie di campionamento probabilistico, ma quella più conosciuta e diffusa (e forse più intuitiva) è data dal campionamento casuale semplice. Un campione è “casuale” quando tutte le unità della popolazione hanno la stessa probabilità di essere incluse nel campione. Ciò significa che è necessario disporre di una lista dell’intera popolazione, in modo da poter estrarre a sorte i nominativi delle persone da includere nel campione.
A partire dalla seconda metà del Novecento e sino ai primi anni Duemila, molto spesso si sono presi a riferimento gli elenchi telefonici, ma questi erano soggetti ad alcune distorsioni sistematiche: figuravano solo i nomi dei capifamiglia, quindi molti più uomini che donne, oltre al fatto che chi per un qualche motivo non disponeva di un telefono non poteva essere raggiunto.
Un riferimento migliore era dato dalle liste elettorali e dai registri anagrafici disponibili presso i vari Comuni, ma dato che tutto esisteva solo in forma materiale e cartacea, la loro consultazione risultava alquanto lunga e complicata.
Questo tipo di problemi è stato in buona parte risolto dalla diffusione dei computer e dalla digitalizzazione delle informazioni che, insieme allo sviluppo di tecniche statistiche sempre più sofisticate, permettono oggi la costruzione di campioni sempre più affidabili.

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Il campionamento nella ricerca qualitativa
Se è essenziale nelle indagini quantitative, il campionamento ha una rilevanza minore nelle indagini qualitative. Ciò non significa che in una ricerca qualitativa le persone o i casi considerati possano essere selezionati a casaccio (che è diverso da “casualmente”). Ciò che orienta la selezione dei casi nella ricerca qualitativa è la loro tipicità, ossia il loro poter essere ritenuti in qualche modo casi esemplari di un dato fenomeno. Per esempio, ricordiamo le ricerche di Howard Becker negli anni Cinquanta sui jazzisti oppure sui fumatori di marijuana, quale esempio di formazione di una subcultura, ma soprattutto di come prendono forma i processi di devianza sociale | ▶ UNITÀ 4, pp. 157-158 |.
Peraltro, è bene sottolineare come nella ricerca qualitativa la scelta “casuale” del campo e/o dei soggetti di ricerca debba necessariamente venire a patti con quelle che sono le opportunità concrete di accesso alla realtà prescelta. Per questo motivo, solitamente si pone attenzione alla questione della negoziazione dell’accesso al campo di ricerca, poiché è in questa, più che nelle forme di campionamento, che risiede la possibilità del concretizzarsi della ricerca.
In un primo momento, quindi, è facile che il disegno di una ricerca qualitativa rimanga flessibile: il metodo qualitativo implica un’immersione nel campo di studio ed è possibile che gli eventi portino il ricercatore a voler approfondire questioni o a utilizzare tecniche di raccolta dati non considerate in precedenza.
ESEMPIO: se volessimo condurre uno studio sulle tifoserie calcistiche, sempre quale caso esemplare di subcultura, non riusciremmo a prevedere esattamente il numero di interviste da effettuare, chi intervistare, quali particolari tipologie di intervista adottare, o quante volte andare allo stadio per osservare che cosa accade in maniera diretta. Con il procedere della ricerca, infatti, potremmo accorgerci che è necessario osservare anche quanto accade fra una partita e l’altra in alcune sedi delle tifoserie; oppure della centralità che rivestono i social network per il modo in cui la tifoseria si organizza e fa circolare le informazioni al suo interno; oppure di alcuni “personaggi” che per via della loro storia o del loro ruolo risultano particolarmente significativi da intervistare (i già nominati “testimoni privilegiati”).
Tanti dettagli sono difficili da immaginare a priori, a meno che il ricercatore non abbia già una certa conoscenza del campo che intende indagare: Becker, per esempio, conosceva bene l’ambiente del jazz in quanto era egli stesso un pianista.

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per immagini

L’esplorazione di casi esemplari nella ricerca qualitativa

Il sociologo William Foote Whyte (1914-2000) negli anni Quaranta del Novecento studiò per tre anni e mezzo una gang giovanile di un quartiere di Boston a forte immigrazione italiana. I giovani furono presi a campione dal sociologo quale tipico esempio di come viene a formarsi una subcultura. Whyte, servendosi di un approccio di ricerca qualitativo, non fece altro che unirsi a una delle gang presenti nel quartiere, dove anch’egli abitò per tutto il periodo dell’indagine. Il suo studio fu pubblicato nel 1943 nel saggio intitolato Street Corner Society: The Social Structure of an Italian Slum.

per lo studio

1. Di quali fasi si compone un processo di ricerca? In che cosa si distingue un disegno di ricerca quantitativo da uno qualitativo?
2. Come si arriva a formulare la domanda di ricerca e quali caratteristiche deve avere?
3. Quali sono i tipi di campionamento più diffusi, le loro differenze e i loro limiti?


  Per discutere INSIEME 

Abbiamo visto come tra ricerca quantitativa e qualitativa vi siano diverse differenze, che riguardano tanto il paradigma di riferimento, quanto l’impostazione e la conduzione della ricerca. Secondo voi, ricerca quantitativa e qualitativa producono risultati ugualmente affidabili? È possibile mischiare un approccio di ricerca quantitativo con uno qualitativo o comparare i risultati di una ricerca quantitativa con quelli di una qualitativa? Discutetene in classe.

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane