1. I paradigmi della ricerca sociale

1. I paradigmi della ricerca sociale

1.1 IL PARADIGMA POSITIVISTA

La sociologia nasce nel clima illuminista e positivista e fa suo il modello delle scienze naturali che nutre una fede assoluta nel metodo sperimentale e nella possibilità di rintracciare nella società le stesse relazioni di causa-effetto che la fisica o la chimica scoprono nella natura e nella materia | ▶ UNITÀ 2, p. 54 |.
Di conseguenza, il metodo sperimentale del ⇒ paradigma positivista si costruisce attorno ad alcuni cardini quali:
  • l’esistenza di una realtà indipendente dagli individui che presuppone una netta separazione tra studioso e oggetto studiato;
  • la possibilità di “scoprire” le leggi che naturalmente governano la realtà senza per questo influenzarla;
  • l’espressione di tali leggi in termini matematici e di relazioni di causa-effetto tra variabili, così da rendere possibili la replicabilità dell’esperimento e la generalizzabilità dei risultati.
La crisi del paradigma positivista
L’affermazione del metodo sperimentale pose non pochi problemi ai sociologi positivisti. Infatti, se tali presupposti si applicano facilmente allo studio della fisica e della chimica, molto più difficile è affermare la netta separazione tra gli scienziati sociali e la società che essi studiano. Gli scienziati sociali, così come qualsiasi altro individuo che viene a crescere e formarsi all’interno di una determinata cultura e società, sono necessariamente portatori di una serie di valori e credenze, che li inducono a interpretare gli aspetti della realtà sociale che studiano. Inoltre, l’idea che il sociologo “scopra” le leggi che governano la realtà sociale implica una visione dei fenomeni sociali come elementi esterni e immodificabili. Infine, la riduzione degli eventi sociali a una serie di variabili e meccanismi di causa-effetto dovrebbe assicurare un livello di replicabilità e quindi di previsione che di fatto i fenomeni sociali non hanno.

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1.2 LA RISPOSTA DEL NEOPOSITIVISMO O POSITIVISMO LOGICO

L’idea che sia possibile conoscere la vera essenza della realtà entra in crisi all’inizio del Novecento da un punto di vista filosofico, sia per l’affacciarsi di nuove scuole di pensiero, sia per gli sviluppi interni al positivismo stesso.
In particolare, verso la fine degli anni Venti, studiosi di diverse discipline dettero vita al ▶ neopositivismo o positivismo logico, alla cui base sta l’idea che la filosofia debba aspirare al rigore metodologico proprio della scienza. Ogni conoscenza deve essere non solo empiricamente fondata, ma obbedire ai criteri logici propri dell’analisi del linguaggio, che assicurano alle proposizioni un preciso significato. La filosofia dovrebbe smettere di occuparsi di questioni di natura etica (che cosa sia il bene), estetica (che cosa sia il bello) o metafisica (l’esistenza di Dio, per esempio), in quanto indimostrabili e quindi prive di significato. Il tratto distintivo del positivismo logico è infatti l’idea che una ▶ proposizione ha significato solo nella misura in cui essa è verificabile (principio di verificabilità). Come da una famosa massima neopositivista: “il significato di una proposizione è il metodo della sua verifica”.
A questa crescente formalizzazione del linguaggio e delle tecniche di ricerca si accompagna però la consapevolezza che una concezione meccanica della realtà è forse troppo riduttiva, così come l’idea che la conoscenza scientifica possa portare alla verità assoluta è forse un po’ troppo ambiziosa. Tutto ciò fa emergere una visione della scienza più modesta, che implica la possibilità di inesattezze e distorsioni. Al determinismo si sostituisce così la probabilità statistica e al principio di verificabilità quello di falsificabilità. Esso postula che nessuna teoria può mai definitivamente considerarsi “vera”, ma soltanto non smentita dai dati” e, dunque, sempre potenzialmente falsificabile.
In breve, per quanto nel neopositivismo permanga l’idea di una realtà esterna, oggettiva e indipendente, si cerca di tenere conto che gli scienziati sociali sono a loro volta immersi in un contesto culturale e quindi portatori di particolari idee, valori e interessi. L’oggettività della conoscenza rimane l’ideale di riferimento, ma nella consapevolezza che le leggi che si arriveranno a formulare saranno di natura probabilistica e provvisoria.

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1.3 IL PARADIGMA FENOMENOLOGICO

Parallelamente al positivismo logico, ma in opposizione a esso, la filosofia di inizio Novecento ha sviluppato un’altra importante corrente di pensiero: la fenomenologia.
Come già sappiamo | ▶ UNITÀ 4, p. 160 |, la fenomenologia fu fondata dal filosofo Edmund Husserl e si occupa dello studio di questioni solitamente pensate come soggettive e individuali, quali i giudizi, le percezioni, le emozioni, la memoria. Ciò perché – spiega Husserl – l’unico modo per conoscere la realtà non è oggettivarla, ma capire le forme attraverso cui noi, quali esseri umani, la percepiamo, la descriviamo e la rappresentiamo. In altre parole, ciò che interessa capire alla fenomenologia è come le persone facciano esperienza della realtà.

1.4 IL PARADIGMA FENOMENOLOGICO IN SOCIOLOGIA: ALFRED SCHÜTZ

Come abbiamo già visto | ▶ UNITÀ 4, p. 160 |, il sociologo tedesco Alfred Schütz introduce la fenomenologia in ambito sociologico e si chiede: se le azioni possono avere significati differenti e seguire logiche diverse tanto dal punto di vista di chi agisce quanto da quello di chi osserva l’azione, come fanno persone diverse a trarne un significato condiviso? In altre parole, come facciamo a essere sicuri che gli altri comprenderanno il senso di un’azione nostra o altrui?
Per Schütz, il mondo sociale è sorretto da una serie di tipificazioni: se vediamo un cane, un albero o un libro, siamo in grado di riconoscerli come tali perché l’esperienza di quel singolo cane, albero o libro è riconducibile a un tipo generale di cane, albero o libro. Queste tipificazioni sono di origine sociale e ci sono state tramandate. Tra esse, quella fondamentale, che rende possibile le altre, è il linguaggio. Attraverso il linguaggio possiamo mettere a confronto quanto da noi percepito e tipificato con quanto percepito e tipificato da altri. Il linguaggio rende quindi possibile il confronto inter-soggettivo dell’esperienza.
Nel corso della vita quotidiana tendiamo a dare per scontato che le nostre percezioni e tipificazioni coincidano con quelle altrui. Ciò è possibile perché ci affidiamo al “senso comune”, cioè quello che ciascuno crede che tutti gli altri credano. Il senso comune è il sistema di credenze radicate e condivise che caratterizza specifici contesti socio-culturali, facendo sì che la maggior parte delle azioni e delle cose che popolano la nostra quotidianità ci appaia ovvia o normale.
A fronte di queste considerazioni, il compito dello scienziato sociale e della sociologia diviene, secondo Schütz, quello di risalire al significato soggettivo che l’attore attribuisce alla sua azione per costruirne modelli tipici di significato e di senso comune.

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1.5 METODOLOGIE DI RICERCA: LA METODOLOGIA QUANTITATIVA

I due paradigmi di ricerca appena presentati, neopositivista e fenomenologico, si traducono in sociologia in due diversi modi di fare ricerca socialequantitativo e qualitativo.
La metodologia quantitativa, che si ispira al paradigma neopositivista, pone al suo centro la misurabilità dei fenomeni e della realtà sociale. Fare ricerca sociale implica, così, l’uso di variabili per definire gli attributi e le proprietà di uno specifico oggetto d’indagine. Per esempio, ciascun individuo può essere descritto attraverso sesso, età, nazionalità, occupazione o classe sociale di appartenenza. Tali variabili, essendo empiriche e traducibili in termini matematici e statistici, divengono le protagoniste della ricerca sociale.
Nelle ricerche quantitative si applica il ▶ ragionamento deduttivo: è la teoria a guidare l’indagine, poiché è sulla base della teoria che vengono definite le ipotesi da testare. La validità e generalizzabilità dei risultati sono garantite dalla costruzione di un campione rappresentativo della popolazionedall’uso di tecniche e strumenti di ricerca standardizzati (primo fra tutti il questionario) e dall’approccio neutrale e distaccato che caratterizza il rapporto fra lo studioso e le persone che vengono intervistate.
L’analisi procede, quindi, con l’obiettivo di misurare le diverse variabili e spiegare le loro variazioni (ciò che in statistica si definisce “varianza”), così da trovare una serie di correlazioni e formulare relazioni di causa-effettoUna correlazione statistica esprime, infatti, il legame fra due variabili, ovvero come al variare di una, vari anche l’altra.
Una classica correlazione statistica è quella fra salute e reddito: solitamente, più le persone sono povere, più si ammalano, e più sono ricche, più sono sane. C’è però un dettaglio importante da ricordare: il fatto che tra due variabili possa esserci una correlazione non è sufficiente perché ci sia anche un rapporto di causa-effetto. Chi è povero non ha in sé il gene della malattia, così come chi è ricco non ha quello della salute. Sono una di serie di variabili intervenienti a far sì che i poveri si ammalino di più dei ricchi. Infatti, chi è povero spesso non ha un’alimentazione sana e regolare, talvolta non possiede neppure i vestiti per ripararsi adeguatamente dal freddo, difficilmente pratica attività sportiva e di sicuro non si sottopone a regolari controlli medici. In altre parole, sono una serie di variabili legate allo stile di vita che fanno sì che chi è povero si ammali di più e più gravemente di chi è ricco. La relazione fra la variabile indipendente (il reddito) e quella dipendente (la salute) non è quindi diretta, ma è influenzata da una serie di altre variabili, che intervengono nel definire il rapporto di causa-effetto che si instaura tra salute e reddito.
La metodologia quantitativa ha permesso alla sociologia di elaborare una parte importante del suo armamentario di ricerca, rendendo possibili i sondaggile inchieste campionarie e le analisi longitudinali, che seguono l’evolversi nel tempo di una data popolazione, nonché la manipolazione delle variabili a livello sperimentale e la simulazione di modelli.

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1.6 METODOLOGIE DI RICERCA: LA METODOLOGIA QUALITATIVA

La metodologia qualitativa si ispira alla fenomenologia. Schütz non ha mai fatto ricerca empirica ma, a partire dagli anni Quaranta, altre scuole sociologiche come l’interazionismo simbolico e l’etnometodologia si impegnarono a tradurre le idee della fenomenologia in ricerca empirica.
L’unità di analisi privilegiata diviene la vita quotidiana dei soggetti studiati e la principale tecnica di riferimento l’osservazione etnografica, già impiegata dalla Scuola di Chicago per lo studio dei fenomeni urbani | ▶ UNITÀ 4p. 146 |. Infatti, così come chi condivide un approccio neopositivista trova nelle variabili, nei numeri e nella statistica gli strumenti con cui indagare la società, chi condivide un approccio fenomenologico trova nell’osservazionenell’intervista e nell’analisi dei documenti gli strumenti di ricerca più adatti a rispondere ai propri interrogativi.
A differenza della ricerca quantitativa, la ricerca qualitativa preferisce il ▶ ragionamento induttivo e cerca di fare affiorare “dal basso” concetti e categorie: la teoria non precede la ricerca, ma emerge proprio da essa. L’attività di ricerca si focalizza sulle azioni e sulle interazioni, ovvero su come fanno le persone a fare ciò che fanno all’interno di specifici contesti.
La ricerca qualitativa punta a produrre, così, classificazioni e tipologie la cui validità è data dalla capacità di ricostruire il senso di una situazione e offrire interpretazioni più complete possibili della realtà studiata. Il ricercatore ha quindi un ruolo attivo, tanto nella raccolta dei dati quanto nella loro interpretazione, e la comprensione del fenomeno d’indagine è profondamente legata al rapporto di prossimità che il ricercatore instaura con il campo di studio.

1.7 VERSO UNA METODOLOGIA MISTA

Come è possibile immaginare, generazioni di sociologi si sono confrontati e, in alcuni casi, divisi proprio a partire dal tipo di metodologia adottato per la ricerca. Dal punto di vista di un sociologo quantitativo, la ricerca qualitativa non è scientifica; così come dal punto di vista di un sociologo qualitativo, l’interazione umana non è riducibile a variabili. Storicamente parlando, l’approccio quantitativo ha dominato la sociologia fino agli anni Sessanta del secolo scorso, per poi cedere il passo a quello qualitativo. Dagli anni Ottanta in poi, l’approccio quantitativo ha ulteriormente affinato le sue tecniche d’analisi grazie all’uso di avanzati strumenti e software di elaborazione statistica. In parallelo, la metodologia qualitativa si è diffusa come mai era accaduto prima.
Per quanto permangano delle differenze, oggi sempre più ricerche fanno uso di dati sia quantitativi sia qualitativi, in favore di un approccio misto (la cosiddetta metodologia qualiquantitativa o mixed methods) che cerca di analizzare le diverse dimensioni in cui si manifestano i fenomeni sociali.

DIFFERENZE TRA RICERCA QUANTITATIVA E QUALITATIVA
RICERCA QUANTITATIVA
  RICERCA QUALITATIVA
Neopositivismo
Paradigmi di riferimento
Fenomenologia
Strutture sociali, relazioni fra variabili
Oggetto di studio
Vita quotidiana, costruzione dei significati
Deduttivo Procedere del ragionamento Induttivo
Campionamento, questionario, linguaggio delle variabili
Tecniche di indagine
Osservazione etnografica,
intervista, linguaggio naturale
Distaccato e neutrale Ruolo del ricercatore Attivo e partecipante
Statistica Analisi dei dati Interpretazione
Testare un’ipotesi o una teoria, quantificare e misurare i fenomeni
Obiettivo generale
Comprendere la realtà sociale,
produrre tipologie e classificazioni

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1.8 LA SOCIOLOGIA COME SCIENZA E COME INCHIESTA

Oltre ai metodi e alle tecniche di ricerca, c’è anche un altro asse lungo il quale è possibile distinguere i diversi modi di fare ricerca in sociologia, ovvero quello riguardante il significato e lo scopo della ricerca sociale.
La sociologia contemporanea è concorde circa l’importanza dell’avalutativitànel senso che una ricerca i cui dati e risultati vengono manipolati sulla base delle convinzioni etiche o politiche dei ricercatori è per definizione scorretta, sia che si tratti di disuguaglianze sociali, sia che si parli di riscaldamento globale. I ricercatori sociali devono evitare di ignorare le evidenze empiriche che mettono in crisi le loro convinzioni, o di esaltare solo quelle che le confermano.
La questione lascia comunque aperto il dibattito circa l’uso dei risultati della ricerca e, quindi, circa lo scopo della sociologia. In altre parole, a chi e a che cosa servono, o dovrebbero servire, i risultati della ricerca sociologica? A produrre teorie o a fornire indicazioni operative in materia politica, economica e sociale? A contribuire al progresso della conoscenza sociologica o a denunciare i problemi e le ingiustizie sociali?
Evidentemente, la risposta auspicabile a queste ultime due domande è: a entrambe le cose. Nel senso che da una teoria dovrebbe sempre essere possibile ricavare una qualche indicazione operativa, così come il “progresso della conoscenza” dovrebbe in qualche modo portare anche al diminuire delle disuguaglianze sociali.
La questione del significato e dell’utilità della ricerca sociologica ha dato luogo a due diverse visioni.
  • La prima pensa che la sociologia dovrebbe innanzitutto aspirare a essere una scienza, quindi in grado di spiegare i fenomeni sociali mettendone in luce i meccanismi e le regolarità. In quest’ottica, l’obiettivo della sociologia è la conoscenza oggettiva della realtà sociale, che si può conseguire solo applicando il metodo scientifico, inteso come insieme coerente di procedure di indagine codificate, pubbliche, controllabili e verificabili. I destinatari naturali dei risultati della ricerca sociologica sono quindi i sociologi stessi che, proprio perché interni alla disciplina, possono valutare la bontà della ricerca condotta e la rilevanza dei risultati prodotti. Ciò non toglie che si possa fare ricerca anche per enti o committenti privati, o su tematiche di grande rilevanza sociale (consumi, lavoro, movimenti sociali), l’importante è che i dati siano stati raccolti e analizzati con rigore metodologico e che la validazione dei risultati sia passata innanzitutto attraverso i criteri condivisi dalla comunità scientifica. In questa prospettiva, il sociologo è visto come un professionista della ricerca, ovvero come colui che possiede le competenze teoriche e tecniche per progettare e condurre correttamente una ricerca sociale, come i sondaggi d’opinione, gli exit poll elettorali o le rilevazioni Istat.
  • La seconda, invece, è una visione meno distaccata e neutrale, che pensa che la sociologia debba generare conoscenza a proposito dei fenomeni sociali nell’ottica di contribuire a criticare e cambiare lo status quo. La ricerca sociologica si trasforma dunque in “inchiesta sociale”: è la visione che più direttamente si richiama alla teoria critica di Adorno e Horkheimer | ▶ UNITÀ 4, p. 137 | e che parte dal presupposto che qualunque scienza, sapere o disciplina è inserita in un preciso ordine politico, economico e sociale e, quindi, non può mai dirsi “neutrale” o “oggettiva”. Secondo questo approccio, affermatosi in particolare negli anni Sessanta e Settanta, sulla scia dei movimenti di protesta studenteschi, i sociologi devono prendere posizione rispetto ai fenomeni che studiano e puntare, con le loro ricerche, a intervenire nella società
    Ciò non significa truccare i risultati di ricerca, ma privilegiare alcuni temi invece di altri per via della loro attualità politica; oppure valutare la bontà di una ricerca sulla base del dibattito che essa riesce a innescare a livello pubblico; oppure prediligere le sedi di dibattito pubbliche a quelle accademiche.

  VERSO LA PROFESSIONE   

Il giornalismo d’inchiesta

Come notato dal grande giornalista inglese David Randall, per quanto Internet e i social network permettano oggi di diffondere e accedere alle informazioni in modo immediato e diretto, il bombardamento quotidiano di dati, news, commenti, comunicati, slogan, tabelle, faziosità e distorsioni rendono ancora più urgente la presenza di un giornalismo di qualità. Ovvero, di un giornalismo capace di trattare in maniera lucida e indipendente le principali criticità sociali, culturali, economiche, ambientali e storiche.
I sociologi, grazie al loro bagaglio di conoscenze riguardo le metodologie e le tecniche di raccolta e analisi dati, sono particolarmente ben equipaggiati per affrontare tale professione, che tuttavia, è importante dirlo, espone anche a numerosi rischi e pericoli, vista la rilevanza dei temi che si vanno a toccare.

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L’inchiesta per ricostruire la verità

Giulio Regeni, nato a Trieste nel 1988, era un giovane ricercatore appassionato di temi politici e sociali che si recò in Egitto per studiare le condizioni dei lavoratori e i movimenti sindacali.
Venne ritrovato senza vita il 3 febbraio 2016 nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani, con chiari segni di tortura sul corpo. Malgrado le numerose manifestazioni per chiedere di fare chiarezza sull’accaduto, la verità non è stata ancora accertata.

per lo studio

1. Quali sono le principali differenze tra paradigma neopositivista e fenomenologico?
2. Quali sono le principali differenze tra ricerca quantitativa e qualitativa?
3. Quali sono le due visioni circa il significato e l'utilità della ricerca sociologica?


  Per discutere INSIEME 

Abbiamo visto come uno dei dibattiti che da sempre anima la sociologia riguarda il significato e lo scopo della ricerca sociale. Discutete in classe sui seguenti aspetti: dal vostro punto di vista, quale dovrebbe essere lo scopo della ricerca sociale? Contribuire alla conoscenza scientifica della realtà sociale o alla critica della società? Più in generale, secondo voi chi fa ricerca sociale dovrebbe mantenere un atteggiamento il più possibile neutrale rispetto ai fenomeni che studia o sarebbe meglio se dichiarasse apertamente la sua opinione in merito? Ancora più in generale, pensate che sia possibile per la scienza mantenersi neutrale?

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane