3. Cultura, valori e simboli

3. Cultura, valori e simboli

3.1 CHE COS’È LA CULTURA

Al pari di “società”, anche la parola “⇒ cultura” ha tanti significati e può essere declinata in modi diversi. Con una definizione sintetica possiamo dire che la cultura è l’insieme di simboli, significati, credenze e valori, condivisi all’interno di una determinata società.
Esistono oggi almeno due utilizzi principali del termine “cultura”:
  • una definizione di senso comune, che mira a distinguere ciò che è di valore e ciò che non lo è;
  • una definizione di tipo sociologico e antropologico, che ci permette di comprendere come simboli, artefatti e credenze prodotte all’interno di una società assumano una rilevanza collettiva.
Nel linguaggio comune, si utilizza la parola “cultura” come sinonimo di “attività artistica, letteraria e scientifica”. In tal senso, “attività culturali” possono essere visitare un museo, seguire una conferenza o andare a teatro. In questo senso, la parola “cultura” viene usata in modo generico per distinguere ciò che una società ritiene importante, come i libri, la conoscenza scientifica, i musei o alcune forme d’arte, da ciò che è invece considerato come poco significativo dal punto di vista intellettuale, come i programmi televisivi di intrattenimento, i rotocalchi settimanali di gossip o i videogiochi.
Questa accezione del termine “cultura” contiene quindi un giudizio di valore e l’affermazione di una gerarchia tra differenti oggetti culturali. Per questa ragione, si è soliti distinguere tra una “cultura alta” (o “cultura di élite”), che comprende prodotti culturali come la musica classica, la letteratura d’autore o i grandi capolavori della pittura, e una “cultura popolare” (o “cultura di massa”), con cui si intendono invece le espressioni artistiche meno significative, come la musica leggera, le soap opera o la pubblicità.
Da un punto di vista sociologico, invece, il concetto di cultura non implica una gerarchia di importanza. Infatti, possiamo definire la cultura come quell’insieme dei significati che un gruppo sociale attribuisce agli avvenimenti della vita e l’insieme dei valori collettivi che orientano l’azione umana.
Le teorie funzionaliste (come nel caso della teoria di Parsons | ▶ UNITÀ 4p. 126 |) vedono la cultura soprattutto in termini normativi e sottolineano quindi come essa possa fare da collante all’interno di una società, spingendo alla condivisione di valori e norme. Le teorie interazioniste (come nel caso di Goffman | ▶ UNITÀ 4, p. 153 |) sottolineano invece come la cultura venga prodotta e riprodotta attraverso una serie di comportamenti rituali nel corso della vita e delle relazioni quotidiane.
Sappiamo, per esempio, che il concetto di “bellezza” varia da cultura a cultura, poiché i criteri di bellezza cambiano da paese a paese, nonché attraverso le differenti epoche storiche. Una cultura giudica qualcosa come bello non perché esiste una dimensione “naturale” o assoluta della bellezza, ma perché questo qualcosa è condiviso da una determinata società.
Al tempo stesso, i nostri gusti, le nostre preferenze, il nostro modo di vestire e di apparire ribadiscono continuamente i canoni della cultura cui apparteniamo, che abbiamo assorbito nel corso della nostra vita attraverso il processo di socializzazione e che esprimiamo nei nostri comportamenti, giudizi e interazioni di tutti i giorni.

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Canoni di bellezza
Il concetto di bellezza, e quindi il giudizio su che cosa sia da valutare come “bello”, non è assoluto, ma dipende dalla cultura di una società, mutando attraverso le diverse epoche storiche e i diversi luoghi. Le opere d’arte ci aiutano a osservare più direttamente come sono cambiati i canoni di bellezza nel corso del tempo. La nascita di Venere è un dipinto dell’artista italiano Sandro Botticelli (1445-1510), probabilmente realizzato intorno alla metà del 1480. È una delle più note e conosciute opere del tardo Rinascimento ed è conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. Raffigura la dea Venere sulla riva del mare, subito dopo la sua nascita, all’interno di una conchiglia, rappresentando così il più alto ideale di bellezza della propria epoca, giacché Venere è proprio la dea della bellezza. La sua corporatura morbida e sinuosa è in contrapposizione, per esempio, con quella esile e spigolosa delle modelle che sfilano sulle nostre passarelle, guardate oggi come la massima rappresentazione dell’ideale di bellezza femminile.

3.2 I VALORI

Una delle componenti di base di una cultura sono i valori, ovvero l’insieme delle idee e delle opinioni condivise da una collettività riguardo a ciò che è giusto o sbagliato, desiderabile o deprecabile. In tal senso, i valori esprimono sempre un qualche tipo di giudizio o valutazione. I valori sono orientamenti dai quali discendono i fini delle azioni umane e indicano una tensione verso uno stato di cose ritenuto ideale e desiderabile ma che non è, o non è ancora, realizzato, come nel caso dei valori dell’uguaglianza o della pace.
Potremmo dire che i valori costituiscono gli ideali entro cui le norme sociali acquistano senso. Infatti, mentre le norme orientano l’azione in situazioni specifiche, per esempio quando ci suggeriscono di salutare una persona anziana con rispetto, i valori indicano il senso più profondo che sostiene queste indicazioni pratiche: in questo caso, l’idea che le persone anziane possiedano una grande esperienza e siano portatrici di saggezza. O ancora: il rispetto della natura e l’ambientalismo sono il piano di valori più generale che supporta una norma sociale molto più concreta, che considera sbagliato buttare carte o altro a terra. In sostanza, i valori indicano i criteri in base ai quali compiamo delle valutazioni nel corso delle nostre azioni sociali, ovvero i principi generali in base ai quali approviamo o disapproviamo una certa azione.
Max Weber è stato uno dei primi sociologi a interrogarsi sul ruolo dei valori all’interno dell’organizzazione della società, considerandoli una guida dell’agire individuale e soffermandosi in particolare sulle motivazioni che spingono gli individui a perseguire determinate azioni. Secondo Weber, infatti, la razionalità e l’azione umana possono essere orientate non solo da un calcolo strumentale sui mezzi a disposizione e i fini da raggiungere, ma anche da idee e credenze più astratte. È questa per Weber l’azione orientata ai valori | ▶ UNITÀ 3, p. 95 |. Riprendendo l’esempio precedente riferito all’ambiente, è chiaro che le azioni che compiamo a casa per riciclare la plastica e la carta, differenziandole e gettandole negli appositi contenitori, sono comportamenti strumentali orientati a un valore più alto e importante, che è quello del rispetto dell’ambiente; se non esistesse questo valore che guida il nostro comportamento quotidiano, non potremmo essere così attenti e diligenti nel compiere azioni semplici ma impegnative come differenziare la spazzatura nelle nostre case.
Tra i classici della sociologia, anche Durkheim ha dato un contributo fondamentale allo studio dei valori, distinguendo il piano degli ideali e dei valori (costituiti da “rappresentazioni collettive”), dal piano dell’azione praticasostenendo così l’irriducibilità dei valori (astratti) al comportamento (pratico). Ad esempio, per quanto possa apparire una contraddizione, molte guerre sono e sono state condotte quale mezzo per raggiungere la pace.
A partire da Weber e Durkheim, sono state diverse le riflessioni che hanno approfondito il ruolo dei valori all’interno della società. Per Parsons | ▶ UNITÀ 4, p. 126 |, in particolare, i valori sono un elemento essenziale di regolazione del sistema sociale, in quanto capaci di orientare il comportamento dei singoli e di mantenere la società unita.
Alla visione struttural-funzionalista di Parsons, che associa ai valori soprattutto una funzione normativa, ossia mantenere dei comportamenti e delle idee generali comuni, se ne sono nel tempo affiancate altre. Per esempio, è stato riconosciuto che i valori diffusi in una società possono essere di tipo diverso. Esistono i valori universali, costituiti da idee condivise da buona parte dell’umanità, e i valori particolaristi, diffusi solamente in alcuni contesti o comunità territoriali, politiche e statali. Inoltre, esistono tipi di valori che si caratterizzano per appartenere a campi specifici:
  • i valori religiosi, connessi a una credenza religiosa;
  • i valori politici, che animano le attività di partiti o di movimenti sociali;
  • i valori morali, che ci guidano nello scegliere tra cosa e bene e cosa è male;
  • i valori estetici, che ci fanno distinguere ciò che è bello da ciò che non lo è.
La società contemporanea, data la sua complessità e differenziazione interna, appare caratterizzata da un pluralismo di valori: la globalizzazione e i flussi migratori | ▶ UNITÀ 7, p. 301 e p. 311 | fanno sì che culture, religioni, simboli e tradizioni molto diverse tra loro si trovino a convivere e a confrontarsi quotidianamente. Gli stessi cittadini europei esprimono molto spesso orientamenti differenti, se non opposti, circa la rilevanza di valori legati all’ambiente, alla famiglia, alla religione, all’istruzione e alla cultura. Si pone così, in maniera sempre più forte, il problema dell’integrazione dei valori, onde evitare che i gruppi che ne sono portatori entrino in conflitto.

FINESTRE INTERDISCIPLINARI – Scienze umane: Sociologia & Antropologia

CHE COS’È L’ANTROPOLOGIA CULTURALE?

L’antropologia culturale è lo studio scientifico degli esseri umani e dei loro aspetti biologici, culturali e sociali, nel passato e nel presente, ed è una delle principali aree di studio nel campo più ampio dell’antropologia. Gli antropologi culturali sono specializzati nell’analisi della cultura, delle credenze, delle pratiche e dell’organizzazione cognitiva e sociale dei gruppi umani non occidentali. Essi studiano come coloro che condividono un sistema culturale organizzano il mondo che li circonda.
L’antropologia culturale è dunque caratterizzata dal porre al centro della propria indagine il tema della cultura di un gruppo sociale. Per fare ciò impiega vari metodi di ricerca. Il principale è “l’osservazione partecipante”, che consiste nel vivere in una comunità e acquisire una profonda comprensione del sistema culturale attraverso l’esperienza diretta e la partecipazione alla vita quotidiana.
Uno degli autori di riferimento dell’antropologia culturale è Franz Boas (1858-1942), un antropologo americano di origine tedesca, il quale è stato uno dei primi a mettere in discussione gli approcci evoluzionisti, che sostenevano l’esistenza di una gerarchia tra le culture di differenti società. Boas ispirò numerosi studenti, tra cui Ruth Benedict (1887-1948) e Margaret Mead (1901-1978), ad abbandonare lo studio unicamente teorico della cultura e ad andare a ricercare “sul campo” esempi di espressioni culturali delle differenti società, anche attraverso la raccolta di oggetti e la registrazione di fatti osservabili. Per queste ragioni, Boas è considerato il maggiore punto di riferimento per lo studio antropologico della cultura nel Novecento.
L’antropologia culturale è una disciplina molto vicina alla sociologia: potremmo anzi dire che l’antropologia e la sociologia sono in qualche modo discipline sorelle, occupandosi spesso delle stesse questioni con punti di vista molto simili. Sempre più spesso, infatti, l’antropologia culturale non si rivolge solo alle società non occidentali, ma interviene nello studio dei contesti urbani, industriali e legati alla modernità, classicamente oggetto della sociologia. E altrettanto, sempre più spesso, la sociologia deve confrontarsi con lo studio di fenomeni che hanno al proprio centro proprio l’intreccio tra diverse culture. Non a caso, il fenomeno delle migrazioni è oggi un tema condiviso e conteso dalle due discipline. La sociologia ha la tendenza a trattare il problema più da un punto di vista quantitativo, l’antropologia più qualitativo, ma per molti versi le due discipline si sovrappongono.

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3.3 I RITUALI

Quando sentiamo parlare di “rituali” la prima cosa che ci viene in mente sono i riti delle tribù o dei clan, oppure le pratiche religiose che si svolgono in chiesa o in altri luoghi sacri. Eppure, il rituale non è un’usanza diffusa solo nelle società premoderne o presente solamente in occasione di celebrazioni religiose. Da un punto di vista sociologico, i momenti rituali di una società sono occasioni in cui i membri di una comunità, di un gruppo o di una nazione prendono parte ad alcune azioni collettive al fine di rinsaldare la propria identità collettiva o ribadire il significato di alcuni valori fondamentali della cultura a cui appartengono.
Il tema della religione è stato importante fin dall’inizio per la sociologia e, tra i sociologi classici, è stato in particolare Émile Durkheim a concentrarsi su questo aspetto, sottolineando come i rituali siano dei momenti in cui i gruppi sociali cementano i propri legami come collettività | ▶ UNITÀ 3, p. 88 |. Sebbene Durkheim si riferisse al ruolo dei rituali fra le tribù primitive, l’idea di rituale è stata estesa nel corso del tempo anche a molteplici attività tipiche delle società moderne e contemporanee.
Nelle società attuali, il rituale è quel tipo di esperienza collettiva che permette la trasmissione dei valori e del senso di appartenenza a un gruppo. Partecipando ai riti collettivi, i membri di una società, di un gruppo o di un’organizzazione apprendono i valori, conoscono le storie che definiscono un’identità collettiva, rinforzano il legame simbolico che li tiene uniti.
La funzione dei rituali è così importante che, quando in molte società è venuta meno la centralità dei riti propriamente religiosi come strumento di coesione sociale, questi sono stati sostituiti con altri tipi di forme rituali civili. Per esempio, la Rivoluzione francese aveva portato in Francia una nuova idea di società, non più basata sul potere sacrale riconosciuto al re e svincolata da una cornice di pensiero religiosa. Tuttavia, la rifondazione di una società laica richiese di istituire nuovi simboli e momenti rituali, non più basati su un principio religioso, ma nella forma di rituali civili. Così, dopo la Rivoluzione e l’istituzione della Repubblica, fu creato un nuovo rito che consisteva nel piantare nelle piazze di tutti i principali comuni francesi un albero come simbolo di libertà. Ugualmente, venne istituita una nuova giornata di festa di tipo laico, che si tiene ogni anno il 14 luglio per commemorare il giorno della presa della Bastiglia a Parigi da parte dei rivoluzionari repubblicani. Insomma, la costruzione di un nuovo assetto della società francese richiese la creazione di nuovi simboli e rituali collettivi, in grado di stimolare nei cittadini un rinnovato senso di appartenenza nei confronti del nuovo Stato francese repubblicano.

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Le caratteristiche dei rituali
Il sociologo statunitense Randall Collins (n. 1941) ha descritto le quattro caratteristiche principali del rituale nella società contemporanea. Il rituale:
  • aggrega le persone che condividono un medesimo spazio fisico;
  • si rivolge a un gruppo ben definito di individui con la tendenza a escludere gli estranei;
  • crea una coscienza collettiva che si basa sulla consapevolezza reciproca di essere co-spettatori o co-autori di un’esperienza;
  • suscita delle emozioni condivise.
A partire da queste caratteristiche delineate da Collins, possiamo riconoscere che la società contemporanea è piena di rituali collettivi finalizzati a rinsaldare l’identità della società nel suo complesso o di specifici gruppi di individui.
ESEMPIO: pensiamo al rituale politico rappresentato dal discorso che i Presidenti della Repubblica italiana tengono ogni anno la sera del 31 dicembre e che viene trasmesso dalla televisione a reti unificate. Tale discorso rappresenta un rituale collettivo ed è un momento in cui il più alto rappresentante dell’unità nazionale espone ai cittadini i principali problemi e i successi del paese.
ESEMPIO: un rituale diffuso che coinvolge specifici gruppi sociali è quello della partecipazione alle partite di calcio allo stadio da parte dei tifosi. Andare allo stadio, infatti, non è solo un’occasione per vedere un match sportivo, che potrebbe essere seguito anche in televisione, ma è un momento in cui tutti i sostenitori di una squadra hanno l’occasione di ritrovarsi insieme, cantando, saltando e incitando all’unisono la propria squadra del cuore, rafforzando cioè la propria identità di tifosi. Soprattutto in occasione dei campionati mondiali il calcio dimostra ancora di più la sua funzione rituale, riuscendo a coinvolgere anche persone non particolarmente appassionate allo sport, ma desiderose di affermare la propria identità nazionale e di sentirsi parte di una collettività.
Esistono molteplici tipi di rituali all’interno della nostra esperienza sociale. Un tipo particolare è costituito dai riti di passaggio, ovvero dalle circostanze sociali, cariche di contenuti simbolici, che segnalano alcuni cambiamenti significativi nel corso della vita delle persone e marcano il passaggio da uno status sociale a un altro. Esistono dei riti di passaggio che non sono formalizzatima che sono comunque condivisi e comuni, come per esempio la festa che si organizza per il compimento dei 18 anni, che nella nostra società segna l’inizio dell’età adulta.
Altri riti di passaggio sono invece più ufficiali e legati a precise norme statali, come nel caso del matrimonio. Il matrimonio, civile o religioso, è un rito che afferma in forma pubblica l’unione tra due persone e sancisce il passaggio dallo stato di celibato o nubilato alla condizione di coppia. Tuttavia, il rito del matrimonio non si esaurisce con la cerimonia in Comune o in chiesa, ma possiede un’importante dimensione sociale e simbolica che viene espressa attraverso la scelta di particolari vestiti e l’organizzazione di una grande festa, spesso seguita da un viaggio di nozze. Questi sono tutti elementi simbolici che servono a sottolineare la dimensione sociale e culturale del passaggio della coppia a una nuova e differente vita.
Un approccio particolare al ruolo dei rituali nella società contemporanea è quello proposto da Erving Goffman.
Il sociologo ha applicato l’idea di rituale nello studio delle interazioni faccia-a-faccia tra gli individui, osservando come gli incontri tra le persone siano pieni di piccoli rituali che vengono messi in pratica, spesso senza accorgersene. Pensiamo per esempio all’importanza di salutare qualcuno quando lo incontriamo per strada, di lasciare la porta aperta a chi sopraggiunge o di aspettare, seduti al ristorante, che tutti i commensali abbiamo il proprio piatto prima di iniziare a mangiare. Si tratta di tutti quei gesti apparentemente poco significativi che vengono appresi nel corso della socializzazione e che esprimono invece aspetti importanti delle nostre relazioni con gli altri e delle nostre competenze sociali. Secondo Goffman, in questi casi ci troviamo di fronte a piccoli rituali della vita quotidiana: un insieme di azioni, reazioni e segnali non verbali con cui sottolineiamo costantemente l’importanza che le altre persone, e la società più in generale, hanno per noi.

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3.4 I SIMBOLI

Abbiamo già incontrato più volte il termine “simbolo” nel corso di questa unità e abbiamo considerato vari tipi di simboli. Ma come possiamo definire più nello specifico che cosa è un simbolo?
Con “simbolo” intendiamo un oggetto, un’azione o un avvenimento che veicola un concetto significativo per la società o la comunità di riferimentoIl segno del dollaro, per esempio, è un simbolo che nel nostro mondo sta a indicare non soltanto il dollaro, ma il denaro in generale. Quindi il simbolo del dollaro trasmette implicitamente un significato più ampio, che riguarda appunto l’idea di denaro e di ricchezza: un’associazione che tutti siamo in grado di fare.
Ogni società è ricca di simboli. Alcuni sono condivisi da più culture (per esempio il simbolo del dollaro è riconosciuto un po’ ovunque), mentre altri rappresentano le specificità culturali di un particolare contesto: il simbolo di una catena di supermercati è comprensibile solo nel luogo in cui essa è diffusa.
Un esempio particolarmente forte di simboli sono le bandiere degli Stati che, sebbene costituite da un pezzo di stoffa colorato, diventano invece oggetti incredibilmente importanti perché rappresentano un paese o una comunità nazionale. Non a caso, bruciare o sfregiare in pubblico la bandiera di una nazione è considerato un reato, a dimostrazione di come la legge tuteli anche i simboli considerati di valore collettivo.
L’esempio delle bandiere nazionali ci aiuta a comprendere una delle principali caratteristiche dei simboli, ovvero che, sebbene essi siano spesso costituiti da oggetti materiali, l’alto valore che viene riconosciuto loro dipende dai significati immateriali attribuiti dai membri della comunità di riferimento. Possiamo dire, in altre parole, che un simbolo ha tanto più valore quanto più viene riconosciuto come importante da una società.
In tal senso, è significativo notare, come già faceva Simmel un secolo fa | ▶ UNITÀ 3, p. 102 |, come forse il simbolo per eccellenza della società contemporanea sia costituito dai soldi: il valore delle banconote, non risiede nella carta di cui sono fatte, ma nel significato che tutti noi attribuiamo e riconosciamo loro.

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La bandiera a New York dopo l’11 settembre

A seguito dell’attacco terroristico del 2001 a New York, in cui vennero distrutti due grattaceli, le Torri Gemelle, e morirono diverse migliaia di persone, la società statunitense venne attraversata da un sentimento di unità nazionale. Nella fase immediatamente successiva al disastro, la bandiera americana assunse un valore sacrale, tanto da prevedere delle procedure di esposizione molto accurate. In particolare, fu molto sentito dalla popolazione il momento in cui la bandiera venne issata al centro dell’area del crollo. La foto di questo momento della storia americana venne pubblicata da tutti i giornali e contribuì a rinsaldare il sentimento di identità e appartenenza di una nazione che era stata profondamente scossa dal tragico evento.

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FINESTRE INTERDISCIPLINARI – Sociologia & Semiotica

LO STUDIO DEI SIMBOLI

La principale disciplina che studia i simboli è la branca della linguistica chiamata semiotica.
La semiotica si occupa infatti dello studio di segni, simboli e significati come forme di comunicazione. Per questo gli studi di semiotica si concentrano in particolare sulla relazione tra significante e significati, ovvero sul rapporto tra i contenuti di un messaggio (i significati) e la forma che questo messaggio assume (il significante). Per la semiotica, un simbolo è un segno visivo o una parola che significa o rappresenta un’idea o un oggetto.
I simboli assumono la forma di parole, suoni, gesti, idee o immagini visive e vengono utilizzati per trasmettere altre idee e credenze. I simboli sono importanti perché consentono alle persone di esprimere idee senza dovere usare la lingua scritta o parlata, ma attraverso segni che permettono di creare collegamenti tra concetti ed esperienze altrimenti difficili da esprimere.
La possibilità di sviluppare una disciplina che si occupasse dei segni e dei simboli era emersa già nel XVII secolo, con il lavoro del filosofo inglese John Locke (1632-1704), mentre le basi della semiotica presero forma tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, con i lavori, tra loro indipendenti, del linguista svizzero Ferdinand de Saussure (1857-1913) e del filosofo americano Charles Peirce (1839-1914).
La semiotica come disciplina autonoma fu definita da Ferdinand de Saussure come lo studio della vita dei segni all’interno della società. Il suo lavoro fornì i concetti e i metodi di base per studiare differenti sistemi di segni, come il linguaggio. A lui si deve infatti la distinzione tra le due componenti inseparabili di un segno: il significante, ovvero i suoni o i segni del parlato o della lingua scritta; e il significato, ovvero il concetto o l’idea che sta dietro il segno.
Il lavoro di Peirce era invece ancorato alla filosofia pragmatista. Egli definì un segno come «qualcosa che sta per qualcos’altro» e uno dei suoi principali contributi alla semiotica fu la categorizzazione dei segni in tre tipi principali: l’icona, l’indice e il simbolo.
Uno dei più importanti semiotici contemporanei è stato l’italiano Umberto Eco (1932-2016), noto non solo per i suoi studi di linguistica, ma anche per alcuni romanzi divenuti famosi in tutto il mondo, tra cui in particolare Il nome della rosa (1980).

Gli artefatti
Sebbene i simboli siano importanti più per il loro significato che per la loro consistenza materiale, non dobbiamo tuttavia dimenticare che anche la loro presenza fisica diventa socialmente molto significativa. Possiamo parlare allora dell’importanza di alcuni oggetti o artefatti.
Gli artefatti sono appunto oggetti che, grazie all’alto valore simbolico che possiedono, ricevono molta attenzione anche per la loro dimensione materiale e concreta.
ESEMPIO: nella nostra società, le scarpe possiedono sia una valenza simbolica, perché spesso portano la firma di particolari marche che richiamano specifici immaginari, come nel caso delle scarpe usate da famosi tennisti o giocatori di pallacanestro, sia una funzione materiale, che riguarda l’uso che se ne farà. Le scarpe che un atleta utilizza per correre o saltare meglio diventano così un simbolo per chi, pur non essendo uno sportivo né utilizzandole a fini agonistici, vuole dimostrare la propria vicinanza o appartenenza a quel tipo di mondo.
Possiamo fare un ulteriore esempio, recuperando un artefatto cui abbiamo già accennato: la bandiera di uno Stato. Sebbene la bandiera sia importante più per il significato che ha per una comunità che quale oggetto in sé, è anche vero che la sua esposizione materiale svolge una importante funzione definitoria, come nel caso dei confini nazionali o delle navi, la cui bandiera indica il paese di provenienza.

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3.5 CULTURA E SOCIETÀ

Quello tra cultura e società è un nesso importante per comprendere come funziona una collettività. Se pensiamo, infatti, alla cultura come l’insieme degli strumenti, valori, simboli, credenze con cui i membri di una società osservano, comprendono e rappresentano il mondo in cui vivono, è facile capire come le influenze reciproche tra cultura e società siano determinanti per il modo di comportarsi degli individui.
Poiché la cultura condivisa da una collettività varia in base al momento storico, ogni cultura va contestualizzata all’interno di un determinato periodo sociale, politico ed economico. Anche per questo il rapporto tra cultura e società deve essere compreso come una relazione bidirezionale: da un lato, la cultura viene prodotta dal contesto sociale in cui essa stessa prende forma e può dunque essere considerata come un’espressione della struttura sociale dove nasce; dall’altro, poiché i riferimenti culturali, come i valori e le norme sociali, indirizzano l’agire degli individui, la cultura influisce in modo significativo nel dare forma al mondo sociale. Insomma, le forme culturali, ossia le nostre idee, e le strutture sociali, che riguardano la nostra collocazione all’interno della società, si condizionano vicendevolmente.
Se pensiamo ad alcune norme sociali di comportamento diffuse all’interno di una società, sarà facile comprendere il senso di quanto appena descritto. Le indicazioni culturali relative all’educazione prevalenti all’interno di una società, le cosiddette “buone maniere”, variano al variare della struttura sociale e dei rapporti di potere.
ESEMPIO: il baciamano è stato una pratica di buona educazione che, a partire dagli strati sociali più alti, aristocratici, si è diffusa in buona parte della società. Con il mutare della struttura sociale, che ha comportato il graduale declino dell’aristocrazia, intesa come classe dominante, e l’affermazione di una maggiore uguaglianza tra uomini e donne, oggi nelle società occidentali l’usanza del baciamano è andata estinguendosi.

Teorie sociologiche sul rapporto fra cultura e società
Alcune teorie sociologiche hanno privilegiato l’importanza della struttura sociale nel dare forma ai riferimenti culturali condivisi dagli individui. Si tratta in particolare delle teorie ispirate al materialismo storico di Karl Marx. Come sappiamo già, Marx riteneva che l’organizzazione della società dipendesse soprattutto dalle relazioni economiche e lavorative che si instauravano tra proletari e capitalisti, ovvero che fosse la struttura delle classi sociali e le loro condizioni materiali a influenzare il senso di appartenenza e, in generale, la cultura degli individui. Questa lettura della realtà è esemplificata nella concezione di Marx dal ruolo delle idee religiose, una delle forme culturali più importanti, che egli interpretava come “oppio dei popoli”, ovvero come una finzione utile solo a offuscare gli aspetti veramente importanti della società, ossia il conflitto tra la classe dei proletari e quella dei capitalisti.
Max Weber proponeva una visione del rapporto tra cultura e società opposta a quella di Marx. Uno dei suoi contributi fondamentali è stato quello di ricostruire il modo in cui la religione protestante era stata determinante per la nascita della società e dell’economia capitalistica | ▶ UNITÀ 3, p. 93 |. Ciò voleva dire che una particolare cultura, quella rappresentata dalla religione protestante, era divenuta una causa attiva nella formazione delle condizioni materiali ed economiche della società: il sistema capitalistico. Per Weber, insomma, il rapporto tra società e cultura appare invertito: la cultura non è, come per Marx, una forma per abbellire o giustificare a posteriori un sistema sociale che dipende dai processi economici, ma una dimensione autonoma, che alimenta i valori degli individui e che diventa un motore attivo nella storia.
Se le prospettive di Marx e Weber ci offrono due modi alternativi di pensare al rapporto tra società e cultura, possiamo tuttavia concludere affermando che il modo più utile per comprendere tale relazione è quello di mescolare queste due prospettive, guardando alle costanti e mutue influenze tra cultura e società. Da un lato, la cultura condivisa da una comunità sociale contribuisce sempre a influenzare la struttura sociale in cui tale comunità vive. Dall’altro, la struttura sociale è una base di partenza importante da cui prendono forma i riferimenti culturali di quella stessa comunità.
  esperienze attive

Intervista ai familiari Intervista un membro della tua famiglia di almeno quarant’anni e chiedigli quali sono i valori in cui si riconosce maggiormente e quali invece quelli in cui non si sente rappresentato in quanto membro della società. Prendi nota e, una volta tornato in classe, confrontati con quanto raccolto dai tuoi compagni. Alla fine della discussione sintetizzate insieme le risposte in uno schema alla lavagna e, successivamente, mettetele a confronto con le vostre risposte personali, ricavate dall’attività “Per discutere insieme” proposta in fondo alla pagina. Trovate delle differenze?

per lo studio

1. Qual è il ruolo della cultura nelle società?
2. In che cosa i valori si distinguono dalle norme?
3. A che cosa servono i rituali?


  Per discutere INSIEME 

Quali sono i valori della tua cultura in cui ti riconosci e quali sono quelli che cambieresti e perché? Discutine in classe con i tuoi compagni.

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane