4. L’approccio fenomenologico e l’etnometodologia

4. L’approccio fenomenologico e l’etnometodologia

4.1 LA FENOMENOLOGIA

Il movimento filosofico della ▶ fenomenologia fu fondato nei primi anni del XX secolo dal filosofo e matematico austriaco Edmund Husserl (1859-1938) e, nel corso del tempo, è diventato un ambito di riferimento che raccoglie autori che condividono una medesima impostazione di pensiero, spesso però con marcate differenze.
La fenomenologia di Husserl parte dal presupposto che tutto quello che sappiamo del mondo risiede proprio nei fenomeni che possiamo osservare direttamente dal nostro punto di vista soggettivo. Si riferisce dunque all’esperienza intuitiva che facciamo del mondo che ci circonda come strumento per comprendere la condizione umana. La fenomenologia tenta così di creare le condizioni per lo studio obiettivo di argomenti quali la coscienza degli individui, il contenuto dell’esperienza, le percezioni e anche le emozioni.

4.2 ALFRED SCHÜTZ E L’ESPERIENZA INTERSOGGETTIVA DELLA SOCIETÀ

A partire dal lavoro di Husserl, il sociologo tedesco Alfred Schütz | ▶ L’AUTORE | si è occupato di tradurre la fenomenologia come metodologia da applicare alle scienze sociali, con lo scopo principale di gettare le basi per uno studio della società a partire dall’esperienza che gli individui hanno della realtà.
Nel 1932 Schütz pubblica il libro La fenomenologia del mondo sociale, in cui pone al centro della sua analisi l’esperienza della vita di tutti i giorniLa sua principale preoccupazione è quella di comprendere il modo in cui le persone si relazionano con gli altri, fermo restando che esse riescono a conoscere gli altri solo dal proprio punto di vista soggettivo, ossia senza la possibilità di “entrare nella loro testa”. Ciò significa cercare di capire le basi intersoggettive della vita sociale, partendo dal presupposto che la società sia basata sulla tendenza degli individui a confrontare la propria visione soggettiva e individuale con la visione ugualmente soggettiva degli altri: in tal modo si crea una sfera di condivisione della conoscenza, definita da Schütz come il senso comune condiviso tra tutti i membri della società.
La conoscenza su cui si basa la nostra esperienza del mondo non è dunque una conoscenza puramente individuale, ma è una conoscenza sociale, che viene condivisa da una comunità di persone.
ESEMPIO: un esempio fatto da Schütz è molto semplice, ma chiarificatore; riguarda l’atto di imbucare una lettera. Quando imbuchiamo una lettera nella cassetta della posta, anche se non ci pensiamo, ci basiamo su una serie di conoscenze condivise socialmente, come il fatto che passerà un postino a recuperare quella lettera, che verrà controllato se l’affrancatura è corretta e che un altro postino si occuperà di consegnarla. Questa conoscenza implicita che abbiamo del processo di spedizione di una lettera fa parte di un bagaglio di conoscenze collettive che anche noi possediamo e senza il quale non potremmo svolgere varie attività anche banali, come appunto spedire una lettera.
Il lavoro teorico di Schütz ha avuto un forte impatto sulla sociologia, diventando il punto di partenza per lo sviluppo dell’approccio fenomenologicoche ha poi preso forma soprattutto attraverso il lavoro di Thomas Luckmann e Peter Berger, nonché grazie agli studi di Harold Garfinkel.

l’autore  Alfred Schütz

Alfred Schütz (1899-1959) è un sociologo e filosofo di origine austriaca e di adozione statunitense. Nasce a Vienna da una famiglia ebraica della classe medio-alta, e si occupa di diritto, economia e sociologia, stringendo contatti con Edmund Husserl a Friburgo.
Partecipa con l’esercito austriaco alla Prima guerra mondiale in Italia, per poi tornare in patria e studiare all’università di Vienna, dove si laurea in filosofia del diritto nel 1921.
Pur continuando a perseguire i suoi interessi accademici, lavora come impiegato in una società commerciale viennese e poi ne diventa il dirigente. Ricopre questo ruolo fino a quando Adolf Hitler attua l’annessione dell’Austria alla Germania nel 1938, costringendolo così a spostarsi prima a Parigi e poi a emigrare negli Stati Uniti, dove nel 1943 inizia a insegnare filosofia e sociologia alla New School for Social Research di New York.

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FINESTRE INTERDISCIPLINARI – Sociologia & Filosofia

LA FENOMENOLOGIA IN FILOSOFIA

Sebbene l’approccio della fenomenologia abbia influenzato diversi sociologi, come Alfred Schütz, Peter Berger e Thomas Luckmann, la formulazione di base di una prospettiva fenomenologica proviene dalla filosofia. La fenomenologia si basa sulla premessa che gli oggetti ed eventi (“fenomeni”) che incontriamo nella società esistono solo nel momento in cui vengono percepiti dalla nostra coscienza e che, dunque, lo studio della filosofia debba riguardare in particolare come prende forma l’esperienza soggettiva delle persone di questi fenomeni.
La tradizione fenomenologica in filosofia prese avvio nella prima metà del XX secolo, grazie al lavoro dei filosofi tedeschi Edmund Husserl e Martin Heidegger. La formulazione di una filosofia fenomenologica si deve soprattutto alla visione di Husserl, che fu il primo a descrivere tale prospettiva nelle sue Ricerche logiche, pubblicate nel 1901 e ispirate al lavoro del proprio maestro, il filosofo tedesco Franz Brentano (1838-1917). Nel corso della sua attività filosofica, Husserl sviluppò l’approccio della fenomenologia in varie direzioni, per esempio formulando una importante distinzione tra l’attività mentale che gli individui compiono quando fanno esperienza di un fenomeno (“noesis”) e il fenomeno stesso di cui essi fanno esperienza (il “noemata”). Seguendo questa distinzione, il mondo in cui viviamo non sarebbe costituito di fenomeni esterni alla nostra esperienza (come una bicicletta), ma esisterebbe solo come risultato della nostra esperienza soggettiva di tale oggetto (la nostra immagine mentale della bicicletta).
Il filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976) ha contribuito a sviluppare il dibattito sulla fenomenologia criticando e ampliando il lavoro di Husserl. In particolare, Heidegger accusò Husserl di concentrarsi troppo sul ruolo della coscienza degli individui, intesa come attività unicamente mentale e astratta, nel dare forma all’esperienza. Al contrario, egli sosteneva che le forme più comuni tramite cui ci relazioniamo con il mondo che ci circonda non sono solo il frutto del lavoro astratto della nostra coscienza, ma sono anche il risultato della nostra presenza fisica in un determinato contesto, in cui interagiamo attraverso azioni concrete e pratiche. Gli esseri umani non si limitano, dunque, a costruire la propria esperienza del mondo attraverso un lavoro mentale, ma anche utilizzando in pratica oggetti e strumenti. Così, la nostra esperienza di cosa sia una bicicletta non è solo il risultato di un lavoro astratto della nostra coscienza, che produce un’immagine mentale di tale oggetto, ma è anche il risultato delle sensazioni che proviamo pedalando.

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4.3 BERGER, LUCKMANN E LA COSTRUZIONE SOCIALE DELLA REALTÀ

Due tra i principali seguaci dell’approccio fenomenologico sono stati gli studiosi naturalizzati statunitensi Peter Ludwig Berger | ▶ L’AUTORE | e Thomas Luckmann | ▶ L’AUTORE |.
Nel 1966 scrivono assieme La realtà come costruzione sociale, che si rivelerà ben presto una pietra miliare della sociologia. Nel libro, fortemente influenzato dal lavoro di Alfred Schütz, di cui Luckmann era stato allievo, gli autori mostrano come la realtà sia una “costruzione sociale”, ovvero il prodotto della somma delle esperienze individuali che diventano una conoscenza collettiva alla base della vita dei gruppi sociali. Anche per questa ragione, Berger e Luckmann sono considerati tra i fondatori della sociologia della conoscenza, quel ramo della sociologia che si occupa di comprendere in che modo la società produca alcune forme di conoscenza collettiva e quale ruolo tale conoscenza abbia per la vita della società.
Il concetto centrale della teoria di Berger e Luckmann è che le persone e i gruppi che interagiscono in un sistema sociale creano, nel corso del tempo, rappresentazioni mentali delle azioni degli altri, che diventano forme di conoscenza condivisa. Il problema fondamentale è dunque comprendere in che modo si attua questo passaggio.
Tra le forme di conoscenza condivisa ci sono, per esempio, i ruoli sociali che le persone assumono nella società: quelli di studente e insegnante, di genitore e di figlio, di amico, di fidanzato o anche di istruttore di nuoto. Questi ruoli indicano dei rapporti particolari che tutti noi impariamo a conoscere e a dare per scontati attraverso un processo di istituzionalizzazione. Quando, infatti, un particolare ruolo sociale diventa patrimonio comune di tutti i membri della società, significa che esso si è istituzionalizzato, ovvero è diventato una conoscenza che tutti possiedono e che possono dare per scontata quando interagiscono con gli altri.
È importante che i ruoli sociali siano istituzionalizzati perché questo ci permette di sapere più o meno come ci dobbiamo comportare di fronte agli altri senza doverci domandare, ogni volta, se è necessario spiegare chi siamo, che cosa facciamo e che relazione abbiamo con le altre persone in quel determinato contesto.
ESEMPIO: pensiamo ai ruoli di studente e di insegnante. Un tempo non erano ruoli fissi e riconosciuti, per cui era necessario spiegare di volta in volta in che cosa consistesse il lavoro dello studente e che cosa dovesse fare un insegnante. Col passare del tempo, quando la scuola è diventata obbligatoria, questi ruoli sono stati vissuti da tutti e sono così diventati una conoscenza comune, per cui oggi nessuno deve più domandarsi che cosa fa uno studente o un insegnante. È per questo che, all’interno di una classe, tutti sanno come si devono comportare, senza mettere in discussione quello che succede: l’insegnante non deve giustificare il perché il prossimo lunedì farà un’interrogazione, visto che gli studenti danno per scontato che il ruolo dell’insegnante è proprio quello di interrogarli. Allo stesso modo, gli studenti non devono rendere conto del perché stanno scrivendo mentre l’insegnante spiega, visto che fa parte del ruolo dello studente prendere appunti quando l’insegnante parla in classe.
Queste conoscenze implicite, che riguardano i reciproci ruoli sociali degli individui all’interno di una società, sono fondamentali per il funzionamento delle nostre vite, perché riducono l’incertezza e il pericolo di equivoci e ci consentono di dedicare attenzione alle cose veramente importanti.
Normalmente non facciamo caso a tutte le conoscenze implicite che possediamo sul mondo che ci circonda e ci accorgiamo della loro importanza solo quando si verifica un qualche sovvertimento dei ruoli: che cosa succederebbe se domani, entrando in classe, trovaste l’insegnante seduto al vostro posto, aspettando da voi la spiegazione della lezione del giorno?
Quando dunque Berger e Luckmann dicono che la realtà è socialmente costruita, essi intendono dire che la realtà di cui facciamo tutti giorni esperienza è il frutto di un lungo processo di apprendimento, all’interno del quale alcune conoscenze, come quelle inerenti ai nostri ruoli sociali, vengono istituzionalizzate e diventano qualcosa di scontato nella nostra esperienza.

l’autore  Peter Ludwig Berger

Peter Ludwig Berger (1929-2017) è un sociologo americano di origine austriaca, con forti interessi per il ruolo della religione nella società (è anche un teologo protestante).
Nato in Austria, come molti suoi colleghi europei, dopo la presa del governo nazista nel proprio paese nel 1938, scappa dall’Europa, rifugiandosi prima in Palestina (allora sotto il dominio britannico) e successivamente, nel 1947, negli Stati Uniti, dove si stabilisce a New York. Berger trascorre la maggior parte della propria carriera insegnando a New York e successivamente a Boston, dove diventa direttore dell’Istituto per lo studio della cultura economica. È conosciuto soprattutto per il suo libro scritto con Thomas Luckmann, La realtà come costruzione sociale (1966), considerato uno dei testi più influenti sociologia della conoscenza e nello sviluppo del costruttivismo sociale.

l’autore  Thomas Luckmann

Thomas Luckmann (1927-2016) nasce nell’attuale Slovenia (allora parte del Regno di Jugoslavia). Durante la Seconda guerra mondiale la sua famiglia si trasferisce a Vienna, dove Luckmann studia filosofia e linguistica. Dopo la laurea, insegna come professore di sociologia presso varie università tra cui l’università di Costanza, in Germania, fino al suo pensionamento, e dove rimane come professore emerito. I suoi contributi sono fondamentali per gli studi di sociologia della conoscenza e di sociologia della religione e il suo lavoro più noto rimane il libro scritto con Peter Berger sulla costruzione sociale della realtà. Insieme a Alfred Schütz scrive invece Structures of the Life-World (1973): un libro che tenta di analizzare e di ottenere una comprensione completa della realtà sociale e delle sue strutture.

per immagini

Istituzionalizzazione dei ruoli sociali

In La costruzione sociale della realtà Berger e Luckmann sostengono che, all’interno di una società, esistono dei ruoli sociali dai quali ci si aspetta un determinato tipo di comportamento e di conseguenza una reazione. Per esempio, guardando l’immagine di una classe che sta svolgendo un esame, nessuno si domanderà come mai l’insegnante sta camminando in silenzio tra i banchi – si dà per scontato che voglia controllare che gli studenti non si distraggano e non copino – e come mai gli alunni non alzino la testa dai loro fogli per rivolgerle lo sguardo – è implicito che vogliano rimanere concentrati e non dare l’impressione che non sappiano quello che devono fare. Questi ragionamenti sono frutto di esperienze che ogni individuo compie, e che diventano col tempo forme di conoscenza condivisa da applicare automaticamente a determinate situazioni o persone.

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4.4 GARFINKEL E L’ETNOMETODOLOGIA

Un’altra importante derivazione della corrente fenomenologica è l’etnometodologia, una particolare tradizione sociologica che fa capo al sociologo statunitense Harold Garfinkel | ▶ L’AUTORE |, suo fondatore. L’etnometodologia si occupa di descrivere metodi che gli individui adottano per dare senso al mondo sociale in cui vivono, in particolare durante le attività quotidiane.
Il termine “etnometodologia” può essere suddiviso nelle sue tre parti costituenti:
  • etno si riferisce allo studio di un particolare gruppo socio-culturale;
  • metodo fa riferimento ai metodi e alle pratiche che questo particolare gruppo impiega nelle sue attività quotidiane;
  • logia si riferisce alla descrizione sistematica di questi metodi e pratiche.
Garfinkel, allievo di Talcott Parsons a Harvard, è convinto che la fenomenologia, nell’impostazione di Alfred Schütz, possa offrire una concezione molto diversa della sociologia rispetto a quella sviluppata da Parsons. Il punto di partenza è comune: come nella elaborazione teorica di Parsons, l’etnometodologia si concentra sulla questione dell’ordine sociale. Tuttavia, la preoccupazione prevalente di Parsons era stata di ricercare le condizioni favorevoli per creare e mantenere un ordine nelle relazioni sociali e la solidarietà tra i membri della società. Per Garfinkel la questione è rovesciata. Egli si occupa di come l’ordine sociale viene ricreato di volta in volta nelle situazioni concrete, in particolare nelle attività di routine quotidiana, come mostra il caso di Agnes, analizzato da Garfinkel, relativamente allo status sessuale | ▶ APPROFONDIAMO, p. 166 |. In altre parole, l’etnometodologia si chiede: come fanno gli individui coinvolti in una data situazione sociale a sapere che cosa sta succedendo e come comportarsi?
Per Garfinkel, la realtà sociale è un flusso incessante di attività che avvengono in contesti concreti, dove numerose persone sono impegnate in azioni reciproche. Il lavoro del sociologo è dunque quello di descrivere come vengono compiute queste attività, mettendo in luce gli aspetti sottintesi che le rendono possibili. In altri termini, l’etnometodologia riguarda le procedure e le pratiche con cui gli individui collaborano per far sì che una data situazione si svolga in modo “ordinato”.
Prendiamo ancora l’esempio dell’insegnante: immaginiamo che entri in classe e che, invece di mettersi a spiegare, compia azioni apparentemente senza senso, come disegnare sui muri, strappare le pagine di un quaderno o fare disegni incomprensibili alla lavagna. Succede, allora, che gli alunni tentano di associare a queste attività prive di senso un qualche significato per loro comprensibile, come per esempio che l’insegnante stia preparando un particolare lavoro di gruppo o che stia cercando di suscitare una discussione in classe.
A mettere gli studenti in tale condizione per poi osservarne le reazioni è Garfinkel stesso, al quale piaceva creare quelli che chiamava “esperimenti situazionisti” (breaching experiments). Un altro esperimento che era solito utilizzare era quello di chiedere ai suoi studenti di comportarsi a casa propria come se si trovassero in un albergo. E, non contento, a volte, partecipando ai tornei di bridge, cercava di spiare le carte del vicino, per poi far notare che nelle regole del bridge non è scritto nessun divieto esplicito di sbirciare le carte degli avversari.
Il senso di questi esperimenti è di dimostrare l’intrinseca incompletezza delle regole e della struttura dell’agire sociale, proprio ciò che nel pensiero di Parsons stava a fondamento dell’ordine sociale. Il fine dell’etnometodologia è quindi questo: mettere in luce che la vita sociale si fonda su regole implicite, tanto ovvie per chi le condivide, quanto inimmaginabili per chi non le conosce, ed è resa possibile dal costante impegno che gli individui ripongono nel ricreare un senso o un ordine condiviso a partire dagli eventi caotici che incontrano sulla loro strada.

l’autore  Harold Garfinkel

Harold Garfinkel (1917-2011) è un sociologo americano nato in una famiglia di commercianti.
Se in un primo momento è infatti indirizzato dai familiari allo studio dell’economia, Garfinkel si interessa ben presto alla disciplina sociologica. Nel 1946, dopo la Seconda guerra mondiale, studia sociologia presso l’università di Harvard, sotto la direzione di Talcott Parsons, e consegue il dottorato nel 1952, scrivendo una tesi focalizzata sulle descrizioni dettagliate e minuziose della vita quotidiana. Nel 1954 conia il termine “etnometodologia”, come ambito di indagine della sociologia, che diventa il suo principale obiettivo di studio e che sviluppa pienamente nel sul lavoro più noto, intitolato Studi sull’etnometodologiapubblicato nel 1967.

approfondiamo  GARFINKEL E IL CASO DI AGNES

Agnes è lo pseudonimo di un(a) paziente, ritenuta intersessuata, che, all’età di diciannove anni, si presentò al Medical Center dell’Università di California a Los Angeles chiedendo un cambiamento di sesso. A quel tempo Agnes aveva un aspetto chiaramente femminile, ma dalla nascita fino a diciassette anni era stata considerata e trattata come un maschio: ora, avendo scelto di vivere da donna, desiderava sottoporsi a un’operazione che accordasse le sue caratteristiche sessuali con la persona che riteneva di essere. Prima di acconsentire alla sua richiesta (la rimozione del pene e la creazione di una vagina artificiale), gli specialisti dell’UCLA la sottoposero a una lunga serie di esami fisici e psicologici per valutare l’opportunità dell’intervento chirurgico. Ma sebbene lavorasse in collaborazione con gli psicologi e gli psichiatri che si occupavano del caso, l’interesse di Garfinkel era di tutt’altro tipo: studiando Agnes, voleva esaminare una questione molto più generale, cioè i modi in cui tutti gli attori nella loro vita quotidiana producono e gestiscono il proprio status sessuale come una realizzazione pratica in situazioni concrete.
Da questo punto di vista Agnes rappresentava un testimone e una guida privilegiati perché, a differenza dei normali, doveva controllare quasi riflessivamente le pratiche con le quali attualizzava il suo essere donna di fronte a chi non conosceva la sua condizione. In ogni momento le era infatti necessario produrre la leggibilità degli attributi della sessualità normale, nel suo contegno e nella sua attività, in maniera conscia e contro molteplici circostanze sfavorevoli – per esempio la mancanza di una passata biografia femminile e di un repertorio culturalmente trasmesso di modi di rendere la femminilità, la continua possibilità di essere smascherata, ecc. In breve, per Agnes l’apparire come una persona riconoscibilmente dotata di uno status sessuale normale non era un “fatto naturale”, ma il risultato di molteplici attività. L’analisi del caso di Agnes esemplifica alcune delle più significative caratteristiche dell’approccio etnometodologico.
In primo luogo, la peculiarità del suo oggetto. A prima vista niente appare più fattuale, determinato o costrittivo dell’appartenenza sessuale. In effetti, gli studi sociologici in genere – dalle classiche analisi parsoniane dei ruoli sessuali fino ai recenti lavori influenzati dalla problematica femminista – trattano lo status sessuale, l’essere maschio o femmina, come un dato di fatto, un punto di partenza al quale correlare le diverse prospettive, i punti di vista e le attività dei due sessi. Per Garfinkel questo punto di partenza diviene il punto di arrivo: l’oggetto dell’analisi consiste nella costituzione e nella continua riproduzione dell’appartenenza sessuale concepita come il prodotto di un vasto insieme di micropratiche socialmente organizzate. In altri termini, ciò che va descritto e spiegato è l’esistenza di “maschi” e “femmine” culturalmente specifici.

Enciclopedia delle scienze sociali, 1993 – voce “etnometodologia” curata da Pier Paolo Giglioli

per lo studio

1. Qual è l’oggetto di studio degli approcci fenomenologici?
2. Quali sono le forme di conoscenza condivisa socialmente per Berger e Luckhman?
3. Qual è il compito della sociologia per Garfinkel?


  Per discutere INSIEME 

Individua una situazione di interazione con gli altri ricorrente nella tua esperienza quotidiana e prova a identificare, come suggerisce Garfinkel, gli aspetti sottintesi e dati per scontati che rendono possibile che tale situazione si svolga in modo ordinato.

I colori della Sociologia
I colori della Sociologia
Secondo biennio e quinto anno del liceo delle Scienze umane