Agnes è lo pseudonimo di un(a) paziente, ritenuta intersessuata, che, all’età di diciannove anni, si presentò al Medical Center dell’Università di California a Los Angeles chiedendo un cambiamento di sesso. A quel tempo Agnes aveva un aspetto chiaramente femminile, ma dalla nascita fino a diciassette anni era stata considerata e trattata come un maschio: ora, avendo scelto di vivere da donna, desiderava sottoporsi a un’operazione che accordasse le sue caratteristiche sessuali con la persona che riteneva di essere. Prima di acconsentire alla sua richiesta (la rimozione del pene e la creazione di una vagina artificiale), gli specialisti dell’UCLA la sottoposero a una lunga serie di esami fisici e psicologici per valutare l’opportunità dell’intervento chirurgico. Ma sebbene lavorasse in collaborazione con gli psicologi e gli psichiatri che si occupavano del caso, l’interesse di Garfinkel era di tutt’altro tipo: studiando Agnes, voleva esaminare una questione molto più generale, cioè i modi in cui tutti gli attori nella loro vita quotidiana producono e gestiscono il proprio status sessuale come una realizzazione pratica in situazioni concrete.
Da questo punto di vista Agnes rappresentava un testimone e una guida privilegiati perché, a differenza dei normali, doveva controllare quasi riflessivamente le pratiche con le quali attualizzava il suo essere donna di fronte a chi non conosceva la sua condizione. In ogni momento le era infatti necessario produrre la leggibilità degli attributi della sessualità normale, nel suo contegno e nella sua attività, in maniera conscia e contro molteplici circostanze sfavorevoli – per esempio la mancanza di una passata biografia femminile e di un repertorio culturalmente trasmesso di modi di rendere la femminilità, la continua possibilità di essere smascherata, ecc. In breve, per Agnes l’apparire come una persona riconoscibilmente dotata di uno status sessuale normale non era un “fatto naturale”, ma il risultato di molteplici attività. L’analisi del caso di Agnes esemplifica alcune delle più significative caratteristiche dell’approccio etnometodologico.
In primo luogo, la peculiarità del suo oggetto. A prima vista niente appare più fattuale, determinato o costrittivo dell’appartenenza sessuale. In effetti, gli studi sociologici in genere – dalle classiche analisi parsoniane dei ruoli sessuali fino ai recenti lavori influenzati dalla problematica femminista – trattano lo status sessuale, l’essere maschio o femmina, come un dato di fatto, un punto di partenza al quale correlare le diverse prospettive, i punti di vista e le attività dei due sessi. Per Garfinkel questo punto di partenza diviene il punto di arrivo: l’oggetto dell’analisi consiste nella costituzione e nella continua riproduzione dell’appartenenza sessuale concepita come il prodotto di un vasto insieme di micropratiche socialmente organizzate. In altri termini, ciò che va descritto e spiegato è l’esistenza di “maschi” e “femmine” culturalmente specifici.
Enciclopedia delle scienze sociali, 1993 – voce “etnometodologia” curata da Pier Paolo Giglioli